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Tutti i nodi da sciogliere nella riforma della dirigenza pubblica

Anche se il Paese sembra essere in dormiveglia, in attesa dell’esito delle votazioni del 4 dicembre, lo schema di decreto legislativo sulla “Disciplina della Dirigenza della Repubblica” (ex articolo 11 della legge 124/2015) prosegue il suo percorso. Percorso accidentato e controverso, solo se si considerino i pareri, le critiche e le osservazioni che sono state formulate da soggetti istituzionali diversi: Consiglio di Stato, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, sindacati autonomi e non.

Che, dopo la legge Brunetta, la dirigenza pubblica avesse bisogno di una sistematizzazione (in altri termini, di un Testo unico di norme) credo sia una opinione condivisa.

Ma che, dopo pochi anni, ci fosse bisogno di un ulteriore stravolgimento della struttura dirigenziale dello Stato, resta da vedere.

A livello governativo sembra aver vinto la linea di coloro che consideravano e considerano la dirigenza pubblica, i dirigenti della P.A. non come architrave portante dello Stato ma come un coacervo di persone e di posizioni inadatte a rispondere alle “novità istituzionali” ed alla modernizzazione del Paese.

Il “preconcetto” è stato acuito dalla imposta riduzione dei comparti della P.A. (da 11 a 4, con PdCM a latere), che ha portato – per mesi – ad uno stallo in sede Aran e la cui definizione finale (Assetto centrale, Sanità, Scuola, Regioni ed Enti locali) è e sarà passibile di ulteriori problemi e distonie applicative.
Dopo la legge 114/2014, la circolare n°6/2014, la legge 124/2015 (soprattutto, art. 11), arriva ora l’atto del governo n°328/2016, il cui percorso – pur se non concluso – è ormai in fase avanzata.

La giornata del 23 novembre, dedicata al tema della “Dirigenza pubblica al tempo della riforma” (Villa Lubin, ore 9,30-13) e fortemente voluta dalla Presidenza del Cnel e dai Consiglieri ancora in carica, vuole essere un’occasione per valutare le prospettive della riforma, il nuovo ruolo del dirigente pubblico italiano, le analogie e le diversità del dirigente pubblico nei vari paesi europei ed infine le nuove linee della contrattazione pubblica, in sede Aran, a conclusione del percorso riformatore.

Come è nelle abitudini del Cnel, passato e presente, il confronto potrà e dovrà essere stimolante e costruttivo.

Sintesi delle osservazioni sullo schema di d.lgs sulla Dirigenza pubblica (CdM, 25/08/16)

Per quanto mi riguarda mi limito ad elencare alcuni punti principali del parere del Consiglio di Stato (14/10/16):

-la questione finanziaria (“perplessità che una riforma cosi’ rilevante sia approvata con invarianza di spesa”)

-l’obbligo del “pieno rispetto costituzionale dell’imparzialità e del buon andamento della P.A.” (trasparenza nelle procedure e nella scelta del dirigente, con valorizzazione delle professionalità; durata ragionevole dell’incarico e rispetto dell’autonomia tecnica; cessazione degli incarichi).

-la composizione della Commissione per la dirigenza (presenza di componenti non indipendenti, lavoro a tempo parziale; 5 su sette indicati dal Governo…);

-l’assenza di nuovi sistemi di valutazione della dirigenza e di chiari obiettivi, fissati dalla politica;

-lo scarso coordinamento tra questo provvedimento e l’annunciata riforma generale del pubblico impiego;

-la mancanza di una forte intesa preliminare con il sistema della Conferenza Stato-Regioni.

In sintesi, 18 rilievi, di cui alcuni molto significativi: rapporto tra corso-concorso e concorso; il passaggio da funzionari a dirigenti “anche senza procedure comparative”; la conferma a dirigenti dopo 3 anni di servizio (ruolo della Commissione nazionale); attività didattiche tradizionali e non innovative; regolamento di attuazione da definire con le Regioni; l’eccesso di ricorso agli incarichi esterni; l’assenza di avviso pubblico per gli incarichi di vertice; l’incertezza sulla responsabilità dirigenziale; i dirigenti privi di incarico; la salvaguardia del potere normativo degli Enti locali; i segretari comunali; la mancata previsione di ruoli separati per le Autorità indipendenti…

Ancora più pesante il parere della conferenza delle Regioni e delle province autonome che (3/11/16) dopo aver ricordato che la Regione Veneto ha promosso ricorso per illegittimità costituzionale della legge delega, pur condividendo gli obiettivi governativi di una revisione dell’assetto dirigenziale e della necessità di chiarire il rapporto tra dirigenza e politica, esprime un parere positivo, condizionato però dall’accoglimento di una serie di osservazioni ed emendamenti.
Riassumiamo le critiche:
– Neo centralismo burocratico, in contrasto con l’autonomia organizzativa regionale e locale;

– Sistema di reclutamento eccessivamente articolato e lungo;

– Procedure di conferimento degli incarichi attente alla ridistribuzione dei dirigenti attuali, piuttosto che alle esigenze di funzionamento ed al la professionalità;

– Composizione ed organizzazione dei diversi organismi/commissioni, “di impronta fortemente statalista”, in contrasto con la valorizzazione delle funzioni locali;

– Atipia dei dirigenti privi di incarico;

– Assenza di una fase graduale di transizione;

– Problemi di compatibilità costituzionale (art. 123 della Costituzione, sulle Regioni a statuto ordinario; art.114, c.2, sui compiti organizzativi delle stesse).

Da ciò una ventina di suggerimenti su modifiche di articoli e commi (non solo dell’atto governo 328/2016 ma anche del d.lgs.165/2001, art. 13-19-19bis-ter-quinquies;21; 23bis; 24; 28-28 bis + ter, quater,quinquies-) , di cui taluni significativi: la non applicabilità del d.lgs. alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di TN e BZ; il rispetto della potestà statutaria, legislativa e regolamentare delle regioni a statuto ordinario e “delle altre pubbliche amministrazioni”; una intesa tra Stato e Regioni prima della istituzione del ruolo dei dirigenti regionali, che includa anche la ricognizione dei posti dirigenziali disponibili, la programmazione delle assunzioni, i contenuti dei corsi-concorsi,e il regolamento di attuazione; la necessità che i corsi-concorsi siano banditi per ciascuno dei 3 ruoli; chiarezza sulle regole della valutazione dei dirigenti; la previsione di commissioni diverse tra dirigenza statale e dirigenza regionale (con intesa Stato-Regioni); la non assegnazione di incarichi “esterni” in presenza di professionalità “interne” adeguate; la peculiarità degli incarichi dirigenziali negli enti del Ssn (c.3, art.19-ter); il destino dei dirigenti valutati positivamente, a fine incarico (ibidem); le modalità di valutazione degli stessi…..
Le maggiori confederazioni autonome della dirigenza, che rappresentano il 60% dei dirigenti pubblici, hanno chiesto anch’esse “..significative modifiche al testo, per evitare confusione nella P.A…”.

In sintesi:

-si critica la composizione delle Commissioni preposte alla gestione dei 3 ruoli, che non danno sufficiente garanzia di terzietà ed indipendenza rispetto al Governo;

-si critica la precarizzazione del ruolo dirigenziale, che conseguirebbe alle modalità di assegnazione degli incarichi (discrezionalità politica, precarietà, possibilità di ricatti…);

-si critica la mancata soluzione dell’annoso problema legato alla definizione degli obiettivi, alla valutazione del merito e dei risultati raggiunti;

-si ribadisce che l’affidamento dell’incarico è un diritto del dirigente, sancito dai Ccnl e premessa per una corretta valutazione della prestazione dirigenziale;

-non debbono esistere dirigenti privi di incarico, se non in caso di valutazione negativa, espressa e motivata;

-in assenza di valutazione negativa, vanno salvaguardati i diritti economici acquisiti sia con l’immissione in ruolo che con l’affidamento dell’incarico;

-va superato l’obbligo di rotazione e va sempre privilegiato il merito;

-va definito il destino, dopo il 31/12/16, di migliaia di vincitori ;

-vanno affidati ai Ccnl i problemi legati a specifiche componenti economiche (indennità di posizione e salario di risultato). ..”Sono improponibili percentuali di salario variabile così elevate da diventare irraggiungibili per decenni…”

-nell’attuale schema di decreto non viene sviluppata la delega che prevede la confluenza della retribuzione di posizione fissa nel trattamento economico fondamentale. Pertanto il capitolo “trattamento economico” andrebbe stralciato e affidato al tavolo negoziale.

Queste, le posizioni comuni delle principali Confederazioni della Dirigenza pubblica, che hanno presentato – in sede di Audizione alla Camera dei Deputati e dei Senatori sull’atto governativo 328/2016- una decina di emendamenti agli articoli 2, 3, 4, 5, 7,8,9,10,11.

Analoghe osservazioni sono state formulate anche da Cgil-Cisl-Uil FP (es. Repubblica 24/10/16): “ profili di incostituzionalità, per lesione delle autonomie…3 ruoli dirigenziali permeabili…composizione della Commissione…” (Volpato, Cisl FP); “precarizzazione della dirigenza…interferenza pesante della politica….” (Bozzanca, Cgil FP); “chiamata diretta al 30% per gli enti locali ed al 10% per le amministrazioni centrali…disposizione meno giustificabile, ora che il bacino è nazionale..” (Bozzanca, Cgil FP); “ i nominati dalla politica saranno gerarchicamente superiori ai tecnici vincitori di concorso…..i dirigenti senza incarico andranno pagati, con aggravio dei costi…in contrasto al principio di una riforma a costo zero…” (Ponti, Uil).

CONCLUSIONI

Se questo è lo “stato dell’arte”, ci auguriamo che il provvedimento in discussione sia ampiamente rivisto prima del suo varo definitivo, eliminando le criticità sostanziali, evidenziate da tutte le componenti coinvolte nel provvedimento stesso. Ciò presuppone, da parte del Ministro Madia e da parte del Governo Renzi, un atto di modestia, dopo aver capito che – varando questo testo senza significative modifiche – la P.A. non diverrà più moderna e funzionale, ma darà adito ad una serie infinita di contenziosi da parte di Regioni, Enti locali, Confederazioni sindacali, singoli soggetti lesi.
E, di tutto, oggi, ha bisogno la P.A. tranne che di una guerriglia infinita che danneggerebbe tutti: istituzioni, cittadini, dirigenti di ogni tipologia.
Non ce lo auguriamo!

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