Gli Stati Uniti si trovano alla vigilia di una delle elezioni presidenziali più controverse della loro storia. Sondaggisti e media non si sbilanciano, i militari proseguono con la loro agenda ma, intanto, la Russia non resta alla finestra.
Tempi cupi per i sondaggisti: non è facile prevedere come andrà a finire lo scontro fra nonna Hillary e il bizzoso Donald, la coppia di candidati forse più antipatica della storia americana.
Clinton ha impostato il proprio programma e la propria comunicazione in modo talmente scontato da apparire noioso: la fidelizzazione dei democratici storici e l’attrazione di quegli “swing voters” che decidono di volta in volta dove mettere la croce.
Trump invece gioca da outsider pur essendo formalmente il candidato ufficiale repubblicano. Senza temere critiche e prese di distanza da parte dei più carismatici rappresentanti del “proprio” partito, punta direttamente alla pancia del sottoproletariato urbano e alle fasce di popolazione meno acculturate. Lo fa con una campagna né di destra né di sinistra ma che cattura il sempre più diffuso malcontento popolare con promesse demagogiche senza curarsi del fatto che queste possano essere concretamente realizzabili o almeno non contraddittorie fra loro.
L’incognita più grande sta nel comportamento di questi ultimi potenziali elettori, il cui atteggiamento cambia ogni giorno sulla base di emozioni irrazionali e che potrebbero fare la scelta finale solo in cabina.
Comunque vada, però, entrambi i candidati alla presidenza Usa non si sono dimostrati troppo entusiasti su un possibile allargamento dell’azione diplomatica e militare americana all’estero. Chiunque vinca metterà in atto una strategia globale puramente isolazionista depotenziando tutti i legami internazionali non giustificabili in termini di interessi prevalentemente americani, inclusi quelli con l’Europa stessa.
Intanto i militari perseguono la loro agenda. Un anonimo funzionario dei servizi segreti ha passato alla NBC News la soffiata che gli hackers del Pentagono sono riusciti a infiltrarsi nell’infrastruttura informatica del governo e sono pronti a sferrare un cyberattacco nel caso di una aggressione significativa volta a turbare lo svolgimento delle elezioni americane. Il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale ha “offerto” alle amministrazioni dei 50 Stati il proprio supporto tecnico per respingere questi ipotetici attacchi e ben 46 di questi si sono conformati.
In precedenza, il direttore dell’Fbi e il dipartimento Sicurezza Interna avevano accusato la Russia di interferire deliberatamente allo scopo di influenzare il voto. I servizi segreti hanno ripetutamente lasciato intendere che la Russia sostiene di nascosto Trump.
L’intercettazione e la pubblicazione delle email riservate del Comitato nazionale democratico (Dnc) ha reso evidente che, durante le primarie, il Partito democratico abbia sostenuto Clinton a scapito di Sanders. Questo duro colpo alla credibilità di Hillary – e dei Democratici nel loro insieme – è stato ricondotto a hackers russi e costituisce il principale capo di accusa contro Putin.
D’altra parte, Trump dichiara praticamente ogni giorno che se perderà sarà solo perché le elezioni sono truccate e non riconoscerà la vittoria della Clinton. Nello stesso modo rigetta tutte le accuse – dal presunto sostegno di Putin, agli scandali sessuali, alle opacità nella gestione delle sue finanze – classificandole indistintamente come falsità messe in circolazione per farlo perdere.
L’agenda della Russia è prevedibilmente quella di depotenziare il futuro presidente creando sfiducia nei cittadini ed erodendo il più possibile la sua base elettorale. Questo avviene sottolienando lo spionaggio del governo sui cittadini (caso Snowden) la corruzione politica ed economica (fuga delle email Dnc e vari altri scandali). Ma, soprattutto, questo obiettivo può essere raggiunto indebolendo il candidato che risulta favorito.
In questo momento gli attacchi principali che sembrano giungere dalla Russia sono unanimemente volti ad indebolire Hillary; se questo è vero, allora Putin è convinto della sua vittoria a scapito di Trump. In effetti, in queste ore la mappa elettorale si sta muovendo proprio in favore di Trump, che agli occhi di tutti i sondaggisti sta riguadagnando le posizioni perdute.
Gli stessi sondaggisti non riescono a decidere se questa rimonta avrà successo o se si fermerà prima di raggiungere i fatidici 270 delegati che gli garantirebbero la vittoria.
Ma fra tutti coloro che scommettono sui risultati delle elezioni ne abbiamo uno che ha sempre mostrato un grande fiuto, che ha fatto di tutto per sostenere Trump e lo ha fatto proprio per indebolire il più possibile la candidata che secondo lui vincerà le elezioni. Vogliamo fidarci del fiuto di Putin?