Mercoledì 2 novembre è arrivato l’appoggio di The Crusader, il giornale del Ku Klux Klan, a Donald Trump con un articolo che ruotava tutto intorno alla slogan del candidato repubblicano: “Make America great again”. Lo staff elettorale di Trump ha subito respinto il sostegno del gruppo razzista americano, ha definito la pubblicazione come “ripugnante” e denunciato che “il suo parere non rappresenta le decine di milioni di americani che si stanno unendo alla nostra campagna”. Thomas Robb, pastore del Christian Revival Center che ha scritto l’articolo, ha detto al Washington Post che non si è trattato di un endorsement, ma di un compiacimento per la candidatura del magnate. Robb è anche l’editore di un media che ha un nome abbastanza esplicito: WhitePrideTv (.com il sito), che si auto definisce la voce della White Resistence, il suprematismo bianco. Dice Robb nel suo pezzo di appoggio a Trump che l’America è stata grande perché è stata fondata come “una Repubblica bianca e cristiana”.
Il distacco del repubblicano è un dato, come lo è il fatto che la fetta etnico-sociale su cui Trump è più forte è quella dei maschi bianchi con un basso livello di istruzione. È possibile pensare che a furia di spingere sull’estremizzare certe situazioni, per esempio il muro col Messico e le teorie sul bloccare l’immigrazione, ci siano elettori trumpiani che non abbiano trovato imbarazzante il sostegno del KKK? Forse sì: un esempio, quando ad agosto David Duke, estremista nazionalista bianco, ex Grand Wizard del Klan, ha chiesto il voto per il Senato includendo nell’ipotetico ticket quello per Trump presidente, è stato lo stesso candidato repubblicano ad aspettare un po’ prima di prendere le distanze. È possibile che una parte di elettorato repubblicano avesse già visioni personali (nel senso di non pubbliche, fosse altro perché l’America è il paese del politically correct e certi imbarazzi vanno evitati se si può) allineate su certe tematiche che Robb sostiene? Forse sì anche in questo caso; temi: gli aspetti etico religiosi come l’aborto, e ancora l’immigrazione per esempio. Ma non è tanto questo il punto.
Il punto che può servire da paradigma per comprendere come muove la propria ragione (ragione?) parte dell’elettorato di Trump è tracciare la reazione all’articolo di The Crusader. Sia negli Stati Uniti che in qualche simpatizzante internazionale (italiano per esempio), dopo che la campagna Trump 2016 si è dissociata, sono iniziate a nascere teorie complottiste. Sintesi ultima: in realtà sarebbe stata tutta una macchinazione ordita da Hillary Clinton che avrebbe voluto mettere in imbarazzo Trump pagando il KKK per scrivere quella sorta di endorsement.
Hillary had her KKK buddies endorse Trump and sent her thugs to burn down a church. Vote Trump and #draintheswamp of these vile creatures.
— TrumpTrain (@TrumpTrain09) 2 novembre 2016
Quella del cospirazionismo è una linea diffusa attraverso il viaggio elettorale di Trump, anzi si potrebbe dire che siano state questo genere di visioni, sempre più diffuse nel mondo e in America spesso incrostate in alcune delle file dell’opposizione repubblicana, ad aver aperto la strada alla sua candidatura – un esempio, il magnate ha sposato fino a pochi mesi fa la tesi secondo cui Barack Obama non fosse nato in America e dunque non potesse essere presidente, uno dei mantra dei complottisti Usa. Un’altra delle narrazioni cospirative costanti in queste ultime settimane è la possibilità che le elezioni siano truccate: lo stesso Trump ha detto che accetterà il voto soltanto in caso di una sua vittoria, parole pericolose; sempre per esempi, Andrew Anglin, leader neonazista americano, ha annunciato che ha intenzione di radunare migliaia di osservatori per monitorare il voto, e come lui altri gruppi hanno dichiarato missioni simili (il National Socialist Movement, l’American Freedom Party, e varie fazioni del KKK). Nota: finora una sola persona è stata beccata nel tentativo di frodare nelle fasi iniziali delle votazioni, era un sostenitore di Trump che in una città dell’Iowa voleva votare due volte. Poca roba, quasi niente. Quartz a inizio ottobre ha raccontato la storia di una sostenitrice di Trump di nome Rhonda, che a Newton, sempre in Iowa, aveva avvisato il candidato vice presidente repubblicano Mike Pence che se Hillary avesse vinto sarebbe stata “pronta per una rivoluzione”, che era “sui social tutto il giorno” da mesi per sostenere Trump e che temeva che la democratica potesse vincere attraverso frodi elettorali. Alcuni funzionari repubblicani “hanno preso misure concrete per la limitazione del Frankenstein del loro partito e dei suoi seguaci, chiedendo a Trump di mostrare la prova di brogli o di tacere, e fare debunking sui rapporti internet falsi”, scriveva il sito. Il problema però è che ormai è tardi, il Gop per otto anni ha calcato l’acceleratore propagandistico creando una narrativa attorno a complotti contro i democratici, e ora, nel momento cruciale, si è arrivati alla deriva. Frankestein è in giro a prendere voti.
RETWEET if you agree: Hillary playing the race card and using the KKK to attack Trump tells you she’s desperate and terrified! pic.twitter.com/5l8zBxaxnx
— Newt for Trump (@NewtTrump) 7 novembre 2016