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Elogio appassionato di tiger-mothers e papà tigrotti

Daniele Capezzone

Ha suscitato discussioni e riscontri positivi il commento della scorsa settimana in cui, citando Luca Ricolfi (e, un secolo prima, Alfred Adler) insistevo – a scuola e nella formazione dei ragazzi – sul valore positivo delle cose difficili, dei test impegnativi, degli ostacoli alti, a partire dalla versione di latino e greco.

Voglio tornare sul tema e articolarlo ancora. C’è una strana schizofrenia nelle nostre famiglie. Quando si tratta dell’attività sportiva, riteniamo normale e logico (giustamente!) allenare i ragazzi, spingerli a dare il meglio di sé: e, se viene fuori che il ragazzo è atleticamente dotato, riteniamo ancora più logico e normale (di nuovo giustamente!) che si alleni anche di più, che sia magari “scelto” per programmi di addestramento anche più impegnativi e professionali.

Quando invece si tratta dello studio, scatta una logica opposta. Tranne rare eccezioni, quel che i genitori chiedono è portare a casa un voto accettabile, non avere troppi problemi, “sfangarla”. E moltissimi (all’opposto di quanto accade per l’attività sportiva!) hanno paura di comportarsi da genitori troppo esigenti, “pushy”, oppressivi.

Da anni, nel mondo anglosassone, c’è un gran dibattito sulle “tiger-mothers”, sulle mamme che pretendono molto dai loro figli, in qualche caso “minacciando” di privarli di giochi e divertimenti se prima non c’è stato un buon adempimento dei doveri scolastici, già a 12-13 anni.

Senza ovviamente esagerare, a me pare che le “tiger-mothers” (e anche i “papa-tigrotti”) vadano difese e – se possibile – incoraggiate. Quale sarebbe, infatti, l’alternativa? Accettare sempre il compromesso? Giustificare la mediocrità? Raccontarsi costantemente alibi e scuse? Riflettiamoci…


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