Silvio Berlusconi deve esserci rimasto male, diciamo pure molto male, per la sfida sin troppo sarcastica lanciatagli da Matteo Salvini di starsene pure a casa, consigliato da medici e familiari, disertando il raduno organizzato per domani a Firenze dai leghisti, dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e dai forzisti più duri, tipo il Giovanni Toti governatore della Liguria. Un raduno promosso per rilanciare il no referendario alla riforma costituzionale dell’altro Matteo, il presidente del Consiglio Renzi, ma diventato dopo l’imprevista, clamorosa elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti anche l’occasione sia per festeggiare l’evento tanto desiderato dai leghisti in Italia, e dai loro parenti politici all’estero, sia per voltare finalmente pagina – dice Salvini – in quello che fu il centrodestra. E che Berlusconi vorrebbe fare rinascere a trazione ancora forzista, affidandola per ora al buon Stefano Parisi, in attesa che lui, per quanto ottantenne, esca dalla fase giudiziaria della incandidabilità, costatagli già la decadenza da senatore.
Il malumore di Berlusconi, probabilmente trattenuto dall’uomo di cui politicamente, nel suo entourage, si è sino ad ora maggiormente fidato, l’onnipresente Gianni Letta, traspare da un editoriale particolarmente acido del direttore del Giornale di famiglia, Alessandro Sallusti. Che se l’è presa con i “trumpini”, diminutivo naturalmente dei trumpisti, che hanno un po’ troppo perso la testa in Italia, specie dalle parti di quello che fu il centrodestra.
Rivolto in particolare proprio al segretario della Lega, Sallusti ha ricordato che “le copie e le imitazioni non funzionano mai come l’originale”. E in Italia, almeno, l’originale di Trump –a parte l’ossimoro di un originale che è nato altrove, parla un’altra lingua e porta un altro nome – sarebbe naturalmente Silvio Berlusconi, anche se l’ex Cavaliere si è ben guardato durante la campagna elettorale americana di tifare per lui, preferendole la concorrente Hillary Clinton. Così, del resto, in Italia ha fatto anche Renzi, di cui però il solito capogruppo forzista alla Camera, Renato Brunetta, ha reclamato le dimissioni all’annuncio della clamorosa sconfitta rimediata dalla candidata democratica alla Casa Bianca. Berlusconi, allora, da che cosa si dovrebbe dimettere? Da presidente di Forza Italia? Da presidente del Milan, com’è rimasto anche nella gestione asiatica della sua gloriosa società sportiva? Da azionista di riferimento di Mediaset?
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Le proteste di Sallusti non si sono fermate qui. Il direttore del Giornale ha ricordato a Salvini che per candidarsi al ruolo di Berlusconi, o solo per confrontarsi decentemente con lui, gli “mancano 30 anni di lavoro e qualche bilione di euro”. Non gli basterebbe di certo, per ridurre le distanze, il recupero dei diamanti nei quali ai tempi di Umberto Bossi l’amministratore della Lega aveva investito i soldi del finanziamento pubblico del partito, o come diavolo si chiamava con la legge allora in vigore: quella dei “rimborsi” elettorali.
Trump o Berlusconi – ha ammonito Sallusti, giustamente dal suo punto di vista – “non si diventa, si nasce e si rimane a vita”. Come i re e gli imperatori di una volta.
Non meno acido è il commento riservato dal direttore del Giornale al pur “amico” e collega Giovanni Toti, che fa continuamente la spalla politica a Salvini e riconosce il merito della sua elezione a governatore della Liguria, l’anno scorso, più alla forza dell’alleato che all’autorete della sinistra, divisasi sulla candidata del Pd alla guida della regione. Ma non è questo che Sallusti ha preferito rimproverare a Toti. Gli ha soltanto ricordato che del suo idolo Trump, e degli effetti che potrà avere in Italia il suo arrivo alla Casa Bianca, egli “ha solo la stazza fisica”, come un qualsiasi cicciottello con la fortuna però dei metri o centimetri d’altezza.
Generosamente e cavallerescamente, Sallusti ha risparmiato le sue punture ad una donna con la quale ha condiviso un po’ d’anni della sua vita: la “pitonessa” o “santa”, come la stessa Daniela Santanchè ogni tanto preferisce chiamarsi anche lei, oltre che farsi chiamare dagli altri.
Non è che la Santanchè si risparmi in “trumpismo” e nel sogno di un centrodestra – sempre che anche questo termine non le sia caduto in disgrazia- a trazione durissima, tipo leghista.
“Ora –ha appena dichiarato la deputata forzista al Foglio, salvo smentite naturalmente, per quanto improbabili- cambia tutto a destra”. E se Berlusconi non dovesse essere d’accordo?, le è stato chiesto. Eccone la risposta, almeno quella tradotta dal Foglio nel titolo e nel sommario dell’articolo: “Amen”. Come si dice nelle preghiere, ma non solo, a dire il vero, in quelle funebri, cui sicuramente la ex compagna di Sallusti non intendeva comunque alludere perché lei a Berlusconi ha sempre voluto bene, anche quando le è capitato di dissentire e persino di contrapporglisi, una volta, come candidata a Palazzo Chigi per la destra-destra di Francesco Storace. Allora “la Santa” si distinse anche per opporre alla visione “orizzontale” delle donne, coltivata da Berlusconi, quella “verticale” da lei preferita.
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Di Trump e del trumpismo il buon Eugenio Scalfari, nello scoop che ha riservato alla sua Repubblica con una lunga intervista che ha fatto graficamente scendere di livello la vicenda americana, ha cercato di far parlare anche il suo amico Papa Francesco. Che però furbescamente, direi gesuiticamente, se non avessi il timore di offenderlo involontariamente, si è tenuto un po’ alla larga. “Non do giudizi sui politici”, ha detto il Pontefice, aggiungendo però, sempre con cautela, di voler “capire le sofferenze che le loro scelte causano a poveri ed esclusi”, cui spetta, secondo lui, il dovere di “decidere” nella società immaginata da Gesù.
Consentitemi solo di dire che con quel rifiuto di dare giudizi sui politici mi è tornata in mente quel “chi sono io per giudicare?” chiesto dal Papa ai suoi interlocutori parlando degli omosessuali. Sì, le cose sono diverse, lo so. Ma la memoria a volte fa brutti scherzi.