Da questa storiaccia grottesca del complotto contro il referendum costituzionale del 4 dicembre, già denunciata ieri con giustificato scetticismo da Formiche.net, non si sa francamente chi ne sia uscito o ne stia uscendo peggio.
Ad occhio e croce, sino a questo momento, è uscito peggio il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che si è guadagnato dall’impietoso Manifesto la qualifica di “pollo”, su tutta la prima pagina del giornale orgogliosamente comunista, per essere stato clamorosamente smentito dal presidente del Consiglio Matteo Renzi. Che non ne ha né condiviso né gradito l’apertura fatta a titolo curiosamente “personale” – lui, con quella carica di governo che ha – alla proposta dell’ex parlamentare Pier Luigi Castagnetti di rinviare il referendum a causa dell’emergenza sismica che interessa tanta parte del Paese.
Anche Castagnetti è uscito malconcio, dovendo sapere che con la sua proposta poteva mettere in difficoltà il presidente della Repubblica e amico di vecchia data Sergio Mattarella. Al quale la solita dietrologia si è affrettata infatti ad attribuire la paternità vera del progetto di rinvio, essendo egli ormai notoriamente schierato sul fronte del sì referendario alla riforma costituzionale, dopo le confidenze fatte a Eugenio Scalfari, ancora voglioso di scoop alla sua bellissima età, ma essendo anche consapevole del vantaggio che continua ad avere nei sondaggi il no. Ed essendo pertanto preoccupato della grave crisi di governo che gli toccherebbe gestire.
Non meno grottesca è la figura fatta dai due giornali che, in curiosa ma non insolita combinazione antirenziana, hanno montato, diciamo così, il complotto: il Giornale della famiglia Berlusconi e Il Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio, che contende a Gustavo Zagrebelsky la guida della campagna contro la “schiforma” costituzionale.
Sgonfiato il motivo, o pretesto, del terremoto per il no opposto personalmente da Renzi, obbligato o sincero che sia stato a questo punto poco importa, il complotto del rinvio rimane ora appeso all’esito delle iniziative giudiziarie, ancora in corso mentre scriviamo, per investire la Corte Costituzionale, con i suoi tempi non velocissimi, del vecchio e ormai sin troppo consunto problema del cosiddetto spacchettamento del quesito referendario sottoposto dalla Cassazione agli elettori. Un quesito che ora nella sua unicità, fatta peraltro del lungo titolo della legge, in cui si parla di risparmi, di abolizione del Cnel e di bicameralismo finalmente non più paritario, potrebbe favorire il sì, anche se quelli del no si sentono, o evidentemente fingono di sentirsi, in vantaggio.
Si dà però il caso che il maggiore promotore delle iniziative giudiziarie per approdare alla Corte Costituzionale sia l’ex presidente della stessa Corte Valerio Onida, schieratissimo come il suo collega Zagrebelsky sul fronte del no. Egli pertanto rischia, un po’ comicamente, di diventare il classico cavallo di Troia nello schieramento ora impegnato a gridare al complotto e a sventarlo per votare puntualmente fra un mese.
Un’ultima osservazione merita Silvio Berlusconi, indicato dai suoi vecchi nemici come il complottardo ideale e abitudinario, dalla doppia parola, o dalla doppia parte. Una rappresentazione che il giornale della sua famiglia contribuisce ad accreditare con l’elogio appena fatto dal direttore Alessandro Sallusti dell’astutissimo silenzio dell’ex presidente del Consiglio.