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Tutti gli effetti per l’Italia di super dollaro, raccomandazioni Ue e spread all’insù

Giornata di fuoco sui mercati finanziari. Escono le raccomandazioni della Commissione europea ed esplodono gli spread. Tutti in rapida crescita salvo il verde per due soli Paesi: la repubblica Ceca e la Finlandia. Quest’ultima – nuovo paradosso – scritta d’ufficio nell’elenco dei 6 Paesi ribelli: Italia, Belgio, Lituania, Slovenia e Finlandia. Di coloro cioè che non accettano il verbo della Commissione. A sua volta riflesso esclusivo dei trattati liberamente sottoscritti da ciascuna nazione. Impressionante il salto per chi, come la Danimarca o l’Olanda, che fanno parte dello schieramento “tutto austerity”. Nel primo caso l’aumento è stato del 29,76%. Nel secondo del 19,57%. Contro una penalizzazione della Slovenia – Paese punito dietro la lavagna – del 13,9%.

Matteo Renzi può tirare un mezzo sospiro di sollievo. La penalizzazione per l’Italia è stata pari ad appena il 4,09%. Inferiore alla Francia (6,10%), alla Spagna (8,82%) ed al Portogallo (6,51%). Ma più che un sorriso, quello del Premier italiano somiglia ad una smorfia. Se si esclude l’Ungheria e lo stesso Portogallo, l’Italia è in testa alla classifica. Potrà rinnovare il suo debito ad un tasso del 2,05%. Quasi tre volte quello della Francia, una volta e mezza quello della Spagna. Addirittura quasi sette volte quello della Germania. Non c’è quindi da stare allegri. Tanto più che rendimenti così alti hanno un’influenza, seppure indiretta, con i tassi attivi che le banche chiederanno per finanziare l’economia reale. Si corre pertanto il rischio che il piano ambizioso di “Industria 4.0″, finanziato dalla legge di bilancio, possa incontrare non poche difficoltà.

In tante notizie negative, l’unica consolazione è che il dollaro si rafforza. Potrebbe favorire le esportazioni che rappresentano la grande incognita dei mesi futuri. Ed almeno, per quanto riguarda l’Italia, ridurre il peso negativo che l'”estero” esercita sulla dinamica del prodotto interno. Sempre che la maggiore incertezza, che traspare da queste cifre, non alimenti ulteriormente l’astenia. Quella voglia delle famiglie di ricostruire, con il maggior risparmio, la falcidia del proprio patrimonio, soprattutto immobiliare. Dopo la feroce tassazione degli anni precedenti. Tassazione che, come si è visto durante la discussione della legge di bilancio, alcuni – soprattutto esponenti del PD – vorrebbero aumentare per dare a Comuni risorse ancora maggiori. Non soddisfatti del fatto che a questi ultimi è riservata una fetta di circa 6 miliardi, nel triennio, dalla manovra ancora in discussione.

Bruxelles esce, comunque, da questa vicenda con le ossa rotte. Juncker propone una maggiore flessibilità complessiva pari allo 0,5% del Pil – in pratica la licenza di andare oltre le rigide colonne d’Ercole dell’austerity – e il mercato pretende un pagamento anticipato, sotto forma di maggiori tassi di interesse. I tedeschi saranno anche soddisfatti, visto che da tempo accusano Mario Draghi di non compensare adeguatamente i loro risparmi. Ma per gli altri Paesi, alle prese con un debito che si ostina a non diminuire, non saranno giorni facili. E’ la dimostrazione evidente che i piccoli passi servono a poco. Possiamo fare tutti i ragionamenti che vogliamo, ma gli aggiustamenti minimi non risolvono. E non basta certo dare del “barbaro” a Donald Trump per uscire dalla crisi in cui versa l’Eurozona.


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