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Vi spiego l’antagonismo fra Usa e Russia nella guerra a Isis

Mosca e Washington, pur accusandosi a vicenda di impedire la fine dei conflitti e delle stragi in Medio Oriente, si sono finora barcamenate per evitare scelte troppo chiare oltre che scontri diretti. Per entrambe le capitali, la situazione è resa difficile dalla sua complessità, dalle diversità d’interessi strategici fra i loro vari alleati e, nel caso americano soprattutto, dalla volontà di non lasciarsi troppo invischiare nel ginepraio mediorientale. Mosca sostiene non solo Assad, ma anche i curdi siriani. In passato, era apertamente favorevole anche al Pkk, in rivolta contro la Turchia, paese membro della Nato. I curdi siriani hanno un ufficio di rappresentanza a Mosca. Dopo il riavvicinamento con Erdogan, Putin non può contrastare più di quel tanto la politica di Ankara, anti-curda e anti-Assad.

Dal canto suo, la Turchia non può abbandonare i sunniti, di cui aspira alla leadership, né accettare l’espansione dell’influenza iraniana ai suoi confini meridionali. Inoltre, rivendica l’intera provincia di Ninive, estesa da Mosul a Kirkuk e comprendente i ricchi giacimenti petroliferi dell’Iraq settentrionale. Lo status della città, rimasto sospeso nella pace di Losanna, era stato definito solo nel 1927 con la sua cessione alla Gran Bretagna, che l’aveva poi ceduta all’Iraq. A differenza di Mosca e Washington e a somiglianza dell’Isis, Ankara è favorevole a ridisegnare la mappa dell’intero Medio Oriente. Considera la provincia di Ninive parte integrante del territorio turco. Rivendica l’autonomia per i sunniti, soprattutto per i turcomanni, fedeli alla Sublime Porta. Lo stesso Erdogan ha più volte criticato l’accordo Sykes-Picot, che divise le province ottomane del Medio Oriente in Stati artificiali, con tribù, gruppi etnici e confessioni religiose ostili fra loro. E’ poi visceralmente ostile non solo all’indipendenza ma a qualsiasi autonomia curda, pur avendo ottimi rapporti politici e commerciali con i curdi iracheni. Ne teme il contagio alle popolazioni curde della Turchia. La cosiddetta “sindrome di Sèvres”, originata dal trattato che aveva smembrato la Turchia per costituire Stati etnici delle sue minoranze, è viva nella gran parte dei turchi. La sua politica “neo-ottomana” è avversata anche da tutti gli Stati arabi, anche da quelli che considerano la Turchia l’unico baluardo possibile contro l’espansione dell’Iran. Erdogan non ha precisato che cosa intenda fare per realizzare il suo disegno. Non ne può ignorare le difficoltà. Sa che aprirebbe un “vaso di Pandora”, dando luogo a interminabili conflitti.

Anche gli Usa si trovano di fronte a un dilemma. Per Mosul hanno bisogno dei peshmerga curdo-iracheni. Per Raqqa sono loro indispensabili le milizie curde dell’Ypg. La Turchia è però opposta a qualsiasi loro aumento di potere. Una scelta potrebbe avere risultati imprevedibili. La distruzione dell’Isis e delle altre milizie jihadiste rafforzerebbe Assad, che gli Usa e la Turchia vorrebbero allontanare dal potere. Si risolverebbe in una completa vittoria di Mosca. Tale contraddizione di obiettivi esiste anche a Mosul. I curdi siriani non rinunceranno alla loro fetta di bottino. Il governo di Baghdad, anch’esso alleato degli americani, si oppone però all’entrata a Mosul delle milizie curde. Anche la Turchia, che con cui Trump sembra voler mantenere buoni rapporti, rivendica un suo spazio nella città e ha schierato truppe a Nord di essa, suscitando le proteste di Baghdad e di Teheran.

Insomma, un pasticcio i cui esiti sono imprevedibili. Una sola cosa è certa: con la distruzione dell’Isis non cesseranno i conflitti in Medio Oriente. Essi potrebbero culminare in uno fra Teheran e Ankara, eredi degli imperi ottomano e safavide che, per secoli, si sono combattuti per dominare la “Mezzaluna Fertile”.

Soluzioni di tipo federale non sono praticabili. con più di quel tanto, né allinearsi del tutto con Teheran. Questi ultimi che perseguono in Siria, ma anche in Iraq, obiettivi contrastanti. Dovranno effettuare delle scelte. Il mantenimento al potere di Assad, voluto da Russia e Iran, è contrastato da Usa e Turchia. I miliziani curdi siriani dell’Ypg sono indispensabili alleati degli Usa per l’attacco Raqqa. La Turchia è opposta al loro rafforzamento. Li ritiene terroristi, strettamente collegati con il Pkk. E’ del tutto improbabile che gli Usa vogliano inimicarsi i curdi siriani. Lo stesso vale per la Russia, che da anni ospita a Mosca una loro rappresentanza permanente.


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