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Vi spiego le conseguenze della riconquista di Mosul

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La riconquista di Mosul non rappresenta un evento decisivo né per la fine del terrorismo radicale di matrice islamica, né per i futuri assetti geopolitici della regione. In questo articolo verrà esaminato come la sconfitta dell’ISIS influirà sui suoi rapporti con l’organizzazione terroristica rivale, cioè con al-Qaeda, prudentemente rimasta nella clandestinità, organizzata in cellule e protetta dalla sua diffusione in reti regionali immerse nella popolazione.

La riconquista di Mosul provocherà l’aumento della rilevanza di al-Qaeda. Quest’ultima, da cui lo Stato Islamico ha preso vita, è in competizione con esso, non solo per l’influenza dei loro vertici, ma anche per le strategie e le tattiche adottate. Identici sono invece gli obiettivi finali di entrambe e i loro riferimenti para-teologici: unità dell’Islam, creazione di un Califfato che lo riporti all’antica grandezza e dominio della sharia nella sua versione più radicale, cioè quella wahhabita del salafismo. Sia al-Qaeda che l’ISIS sono sunnite e considerano eretici e nemici gli sciiti e il loro Stato-guida: l’Iran.

Radicalmente differenti fra l’ISIS e al-Qaeda sono i tempi per la realizzazione di tale obiettivo finale e quindi le strategie e le tattiche, nonché l’organizzazione. Per al-Qaeda è impossibile unificare l’Islam e creare il Califfato, finché i “regimi apostati” al potere nei vari Stati islamici, costituiti per l’interesse delle potenze coloniali europee, manterranno il sostegno del “grande Satana lontano”, cioè dell’Occidente. Coerentemente con tale idea, attribuisce priorità agli attentati contro gli USA e l’Europa. Sono persuasi che, in tempi più o meno lunghi, sia possibile indurli a ritirarsi e a lasciare al loro destino gli attuali alleati islamici. Solo allora sarà possibile dare loro il colpo di grazia e creare il Califfato previsto dalla teologia politica islamista.

Per DAESH, erede diretto dell’escatologia apocalittica e dell’estrema violenza esercitata contro tutti i suoi oppositori anche islamici di al-Zarkawi, occorre invece costituire subito nei territori “liberati” un proto-stato e proclamare senza indugi il Califfato, al fine di fornire un risultato concreto che attiri volontari da tutto l’Islam, dimostrando la realizzabilità immediata di un obiettivo che la “timida” al-Qaeda ritiene possibile solo in un imprecisato futuro. Con le sue capacità amministrative, ereditate dall’Iraq di Saddam Hussein, lo Stato Islamico dimostrerebbe la sua capacità di governare e di modernizzare le società islamiche rimaste tribali e divise in clan in competizione fra loro per il potere e la ricchezza. L’obiettivo prioritario dello Stato Islamico non è quindi l’attacco terroristico all’Occidente, ma la conquista dei territori, l’eliminazione del “nemico vicino”, con operazioni militari di tipo tradizionale e il consolidamento del suo prestigio con la fornitura dei servizi sociali essenziali.

La realizzazione di tale disegno sembrò a portata di mano con le grandiose vittorie del 2014 in Siria e in Iraq. In entrambi i paesi il successo fu dovuto soprattutto alla persecuzione subita dai sunniti a opera degli sciiti, al potere sia a Damasco che a Baghdad. Il rancore accumulato negli anni fra le due sette è stato alla base dell’inaudita violenza dell’ISIS contro i civili e gli oppositori interni, taglia-gola da tutto l’Islam, trasformandoli in agguerriti miliziani. La necessità di garantirne la coesione e l’obbedienza al Califfo, non più assicurata dalla comune appartenenza a una tribù o a un clan, spiega le ripetute condanne dei disertori. Malgrado le repressioni e la saldezza del “nucleo duro” dell’ISIS costituito da credenti e da fanatici, il numero dei foreign fighters sta diminuendo da quando è terminato il periodo delle rapide conquiste e sono diminuite anche le risorse dell’ISIS, che gli permettevano di remunerare generosamente i propri miliziani. La potenza dell’ISIS è in declino. Il recente discorso del “Califfo” Abu Badr al-Baghdadi per incitare alla resistenza ad oltranza i miliziani schierati a Mosul, ne dimostra la debolezza. L’efficiente servizio comunicativo dell’ISIS ha cercato di preparare l’opinione pubblica alla caduta di Mosul, come già aveva fatto per quella di Dabiq in Siria. Il settimanale dell’ISIS in lingua araba, al-Nada, continua a ripetere che le sconfitte subite sono temporanee e che Daesh risorgerà dopo essersi rifugiato nel deserto, come aveva già fatto dal 2006 al 2013.

Le violenze esercitate dall’ISIS a Mosul non hanno certamente fatto scomparire il sostegno della popolazione della città per l’ISIS. Esso non ha solo radici confessionali – sunniti contro sciiti – ma anche etniche, arabi contro le minoranze curde, assire, yazide e turkmene. Ciò complicherà la riconquista della metropoli. Indurrà anche le milizie sciite e curde a effettuare rappresaglie contro i sunniti, accusandoli, non a torto, di aver sostenuto lo Stato Islamico.
Molto verosimilmente, la perdita di Mosul – a cui si aggiungeranno quelle di Raqqa in Siria e di Sirte in Libia – obbligherà l’ISIS a mutare strategia e tattica. Il Califfato perderà circa il 30% della sua popolazione e oltre il 50% delle sue risorse finanziarie. L’afflusso di volontari diminuirà ulteriormente. Aumenteranno le diserzioni. L’ISIS non potrà più essere un proto-stato dotato di forze in grado di opporsi frontalmente alla coalizione anti-ISIS. Sarà obbligato ad adottare un’organizzazione, una strategia e le tattiche seguite da al-Qaeda. Solo così potrà sopravvivere alla potenza di fuoco posseduta dai suoi avversari. Non è da escludere che possano verificarsi alleanze con i gruppi regionali di al-Qaeda, con cui ha duramente combattuto dalla sua nascita nel 2013. Ciò potrebbe aumentare la probabilità di attentati terroristici in Occidente e in paesi islamici, come la Turchia e l’Arabia Saudita, facenti parte della coalizione anti-ISIS. Entrambe sono state obbligate a difficili equilibrismi, per evitare che la distruzione dell’ISIS si traducesse nell’aumento dell’influenza dell’Iran in Medio Oriente.

Insomma, se la sconfitta dell’ISISI a Mosul e a Raqqa non trasformerà la geopolitica della regione, essa potrebbe preludere al suo ritorno nella clandestinità e al terrorismo. Essa, inoltre, accrescerà le rivalità e le dinamiche conflittuali già esistenti, accentuando anche l’intervento diretto di attori esterni, che da tempo sponsorizzano e conducono vere e proprie guerre per procura in Medio Oriente.


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