Chi saranno gli uomini d’oro di Trump alla Casa Bianca? “C’è stato un assaggio del futuro establishment Rep nei ringraziamenti durante il discorso: a partire da Rudy Giuliani, e poi Newt Gingrich, lo stesso Priebus magari, e il generale Michael Flynn. Mi è difficile pensare che uno come Stephen Bannon, il capo della campagna, non possa in futuro ricoprire un ruolo centrale”. Parla Mattia Ferraresi, corrispondente da New York del Foglio e autore di un saggio su Donald Trump (“La febbre di Trump. Un fenomeno americano“, Marsilio, 2016), il magnate repubblicano da poche ore vincitore delle presidenziali americane. Un saggio che analizza senza pregiudizi aprioristici, anzi, il fenomeno Trump (qui un estratto del libro pubblicato nei mesi scorsi da Formiche.net).
PERCHE’ HA VINTO?
“Devo dire che ancora non so darmi una spiegazione specifica sul perché tutti noi ci siamo sbagliati, non mi è chiaro, ma è certo che c’è una parte consistente dei cittadini americani che non abbiamo compreso”, dice a caldo con Formiche.net Mattia Ferraresi. “La situazione è stata ben fotografata da quello che ha scritto a caldo Paul Krugman (analista politico economico del New York Times, premio Nobel per l’economia): la gente come me davvero non ha capito il paese in cui viviamo, ha detto. Negli Stati Uniti c’è una parte di popolazione che vive le sue dinamiche fuori dai radar dei sondaggisti, oscura alle analisi, e non credo ci sia stato un dolo nel sottovalutarla, è stata ignorata senza colpe”. Qual è stato il merito di Trump? “Trump l’ha intercettata, capiremo come, ma lui è riuscito a dargli voce, perché non credo che sia nata con lui, credo che esistesse già, fosse già là, e finora, con un establishment forte, era riuscito sempre ovattata, superata, ma c’era. Non è che i Nate Silver sono diventati improvvisamente dei pessimi sondaggisti, è soltanto che i modelli delle coordinate di riferimento erano tarate su un altro livello”.
MEDIA E PENSATOI LONTANI DAL PAESE REALE?
Trump si è trovato praticamente contro, anche con toni duri, tutto il mondo dei media e degli opinion maker americani, ora che succede? “Non saliranno sul carro del vincitore con rocamboleschi cambi di linea, però Krugman per esempio ha già tracciato la strada. È per certi versi una speranza la mia, l’apertura di un momento di riflessione è necessara, perché è l’unica via possibile. Fondamentalmente è il popolo a cui gli stessi media parlano ad essersi espresso in modo eloquente. Non si tratta di un dato ristretto e marginale ma di una vittoria chiara”. Basta pensare a al successo repubblicano in Michigan, un esempio, stato storicamente democratico, dove Barack Obama aveva chiuso con distacchi del 9,5 e 16,4 per cento, rispettivamente nel 2012 e 2008. “Io non so come si va avanti. L’America è uno stato e una società fallita? Credo che dobbiamo tirarci su e cercare di trovare una via d’uscita, ma questa è stata una notte di terribili rivelazioni” ha scritto Krugman.
COSA OFFRE IL TRUMPISMO?
“Il trumpismo è il lettino dello psicanalista di una nazione bipolare. Il messaggio ambiguo e liquido si presta a un ascolto selettivo: il pubblico filtra e trattiene ciò che vuole, tutto il resto – pensa – è una figura retorica, è la provocazione di un artista contemporaneo, sarebbe sciocco intenderla in senso letterale. È il modo in cui viene pronunciato a trasmettere vitalità, il tratto dominante di questo leader postideologico” scrive Ferraresi nel suo libro. Che cosa ha promesso Trump agli americani per ottenere questo feedback elettorale, allora viene da chiedersi. Ancora, dal libro di Ferraresi: “Soldi, potere, fama, vittorie, orgoglio, bistecche e champagne, stucchi d’oro, furore imprenditoriale, beato isolamento, pace perpetua, arretramento dello Stato federale, benessere diffuso, negoziati da favola, sprazzi di vita gioiosa e identitaria, tutti finalmente a ricoltivare, nel fine settimana, il sogno americano nel backyard mentre le costine si affumicano a fuoco lento. A un certo punto Trump ha abbandonato queste immagini transeunti, evocative ma in fondo effimere, ed è esploso nell’apocalittico: «I will give you everything». Ha detto proprio così: «Vi darò tutto», per poi aggiungere: «Vi darò tutto quello che avete cercato per cinquant’anni», lasciando intendere che questo «tutto» un tempo era già stato un ideale condiviso e vissuto”.
E IL PARTITO? DOVE VA IL GOP?
C’è un aspetto importante che va sottolineato: il fenomeno americano Trump non è stato compreso nemmeno dal suo partito, quasi il 90 per cento dei notabili del Gop non lo hanno sostenuto, c’è chi come Condoleeza Rice ha detto di “averne abbastanza”, chi addirittura aveva promesso il proprio appoggio alla sua rivale Hillary Clinton. E i repubblicani non sembrano essersi resi conto prima che i proprio elettori invece sarebbero andati a votarlo. Che cosa succederà adesso? “Senza voler interpretare troppo le immagini del discorso della vittoria, fatto a caldo e sull’onda dell’emozione, Trump ha già mostrato un’apertura, quando ha chiamato sul palco il presidente del Comitato repubblicano Reince Priebus, invitandolo al microfono. Priebus è il nemico per l’establishment del Gop, in quanto non ha mollato Trump, ma adesso sarà lo stesso partito a dover trovare una quadra col presidente, una convergenza, perché altrimenti tutti gli altri leader, anche se rieletti, rischiano la marginalizzazione”. Chi saranno gli uomini d’oro di Trump alla Casa Bianca? “Sempre stasera c’è stato un assaggio del futuro establishment Rep nei ringraziamenti durante il discorso: a partire da Rudy Giuliani, e poi Newt Gingrich, lo stesso Priebus magari, e il generale Michael Flynn. Mi è difficile pensare che uno come Stephen Bannon, il capo della campagna, non possa in futuro ricoprire un ruolo centrale”. Trump è un presidente che, trovata la misura di collaborazione col partito, “il giusto mix di anti-establishment e capacità di governo”, avrà dalla sua l’appoggio di entrambe le camere, ossia il potere completo della politica americana.