Come accade spesso di questi tempi non era facile azzeccare previsioni sull’esito del referendum, ma la vittoria del No, per quanto espressione di un fronte eterogeneo, stupisce per la sua inequivocabile nettezza. Quale che sia lo sbocco dell’attuale situazione di stallo politico è inevitabile che la sconfitta di Matteo Renzi finisca col ridimensionare il suo “cerchio magico” ma c’è da chiedersi se possa produrre danni collaterali anche i suoi alleati più importanti come i sindaci e i governatori che si sono esposti a favore del Sì nella battaglia referendaria. Il caso più importante è quello di Milano, dove il sindaco Beppe Sala si è finora identificato con Renzi che, per altro, lo ha quasi imposto al Pd milanese come candidato. Sala, pur godendo di una maggioranza che allo stato appare solida, rischia di finire nel fuoco incrociato dell’ala antirenziana del Pd e di quello delle opposizioni. Certo questo scenario non corrisponderebbe agli interessi della città ma con una gestione attenta e coraggiosa delle contraddizioni esistenti i rischi potrebbero divenire opportunità, facendo crescere un confronto costruttivo in consiglio comunale sui temi più urgenti ed importanti della città. Questo è tanto più necessario se, come sostiene Stefano Boeri, Milano vuol essere come Londra ”una città-stato che può avere un ruolo fondamentale come modello di traino al servizio del paese”. Per ottenere questo risultato non serve una “ammucchiata” in nome dell’emergenza ma una convergenza trasparente su obiettivi strategici che valorizzi il contributo di merito dei soggetti politici coinvolti siano essi di maggioranza o di opposizione. Ciò è tanto più necessario di fronte alla repentina crisi di governo che ha prodotto uno scenario generale confuso che giustifica la preoccupazione di vedere sfumare gli ingenti e indispensabili finanziamenti previsti dai patti sottoscritti con Matteo Renzi in veste di primo ministro. Occorre prima di tutto chiarezza e capacità di selezionare gli obiettivi in ordini di priorità. Dal risanamento delle periferie con una corretta gestione del patrimonio pubblico abitativo ai grandi progetti di riutilizzo e di riordino del territorio a partire da Arexpo e dagli ex-scali ferroviari, dal riordino e dal rafforzamento del welfare locale all’efficienza dei servizi pubblici comunali, dal tema della sicurezza ad un approccio più trasparente e realistico sull’emergenza rifugiati e sull’immigrazione clandestina. La stessa questione islamica, che riveste anche un profilo di politica internazionale deve uscire dai limiti angusti di politiche localistiche per essere affrontata almeno in una dimensione nazionale. C’è bisogno di segnali concreti che affrontino le questioni più delicate ed urgenti con determinazione e senso dell’equilibrio. E’emblematico il caso delle occupazioni abusive, dirette da organizzazioni di varia natura che si collocano al confine tra criminalità organizzata e protesta sociale e utilizzano donne incinte e bambini per raggiungere i propri scopi. Prevenire le occupazioni significa creare le condizioni pratiche e giuridiche per eseguire gli sgomberi in tempi rapidi, individuando soluzioni di emergenza per quegli occupanti sfrattati che ne abbiano reali necessità. Occupare una casa pubblica significa sottrarla a chi ne ha diritto e anche sotto il profilo squisitamente giuridico non è meno grave di una semplice rapina o di un furto con scasso. Ma le conseguenze sono molto diverse perché nel primo caso i responsabili godono di una sostanziale impunità. Definiti gli obiettivi occorre reperire le risorse. L’incertezza dei finanziamenti statali e gli impegni (giustamente) assunti di una graduale riduzione della pressione fiscale per le fasce sociali più deboli accompagnata da un accentuazione della lotta all’evasione, costringe Palazzo Marino a risparmi e razionalizzazioni delle spese ma anche ad alienazioni di proprietà che non rivestano una natura strategica. In questa fattispecie, per finanziare spese di investimento o di manutenzione straordinaria, dovrebbero rientrare ( come in alcune occasioni hanno dichiarato sia il Sindaco Sala che il suo predecessore Pisapia) le autostrade, le quote di A2A, e la stessa SeA. La recente cessione alla Regione delle quote della società autostradale Serravalle può essere stata motivata da esigenze di cassa, ma realizza un primo risultato di affidare al governo regionale il sistema autostradale che andrebbe integrato in una rete che interessa anche le ferrovie e gli aeroporti ed ha al centro la città di Milano. Da questo punto di vista non è comprensibile la riluttanza del Comune a costruire un sistema del trasporto aereo lombardo affidandone il coordinamento e coinvolgendo nella proprietà, anche come socio di riferimento, la Regione. In Sea il Comune da molto tempo agisce come socio silente ma le avvisaglie della crisi di Alitalia-Etihad e le peripezie della distribuzione dei voli tra Linate e Malpensa ( che rimane in una posizione fragile) richiederebbero una governante rappresentativa e capace di esprimere una progettualità adeguata oltre che delle risorse necessarie. La stessa rete ferroviaria lombarda è al centro di un confronto tra le Ferrovie Nord (di proprietà regionale) e Trenitalia. In questo caso è fondamentale l’integrazione con il sistema del trasporto milanese (Atm) in cui è pienamente giustificato il controllo di Palazzo Marino.
In ambito milanese Sala oggi può trovare nelle fila dell’opposizione interlocutori disponibili (a partire da Stefano Parisi) nel rispetto dei diversi ruoli, a costruire convergenze frutto di comuni analisi. Ma per il Sindaco di Milano non meno interessante come interlocutore è il Governatore Maroni con il quale si possono realizzare obiettivi strategici come il progetto infrastrutturale per la rete integrata dei trasporti regionali, che aumentino l’ efficienza e l’attrattività del sistema di Milano e della Lombardia.
Maroni ha tutto l’interesse ad una “alleanza del fare” che lo rafforzi nei confronti delle scelta barricadiere e inconcludenti di Matteo Salvini. D’altra parte il referendum promosso da Maroni per attribuire alla Lombardia lo status di Regione a Statuto Speciale è una provocazione condivisibile sotto il profilo tattico, ma mal si concilia con l’obiettivo, certo non di facile realizzazione, ma assai più ragionevole e coerente con la stessa storia della Lega, di abolire tutte le Regioni a Statuto speciale.