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Anche le forze speciali russe hanno preso parte alla riconquista di Aleppo

Da due mesi alcuni uomini delle forze speciali russe sono stati schierati da Mosca ad Aleppo, la città siriana da poco tornata sotto il controllo dei governativi. Il loro ruolo, spiegato al Wall Street Journal da esperti militari specializzati sulla Russia, sarebbe stato centrale nel permettere l’avanzata finale alle forze del regime sulla porzione orientale rimasta in mano ai ribelli. Un’attività “behind the lines” (ci sono anche immagini rare trasmesse da una Tv russa), coperta finora da segreto. Le attività clandestine di questi specialisti andavano dal targeting preferenziale su leader delle formazioni ribelli impegnate nella resistenza, illuminazione dei bersagli per gli attacchi aerei, consulenza tattica alle truppe lealiste. È noto che a combattere per conto di Damasco non sono i soldati siriani – l’esercito è decimato, le uniche unità degne di nota, i Falchi e la Tigre, sono schierate nella capitale a fare da guardia al presidente – ma soprattutto milizie sciite mobilitate dall’Iran. Il ragionamento è frutto di ricostruzioni vecchie, ma i russi sul campo probabilmente non hanno contatto diretto con queste formazioni lealiste, perché ritenute troppo ideologizzate – sanguigne, settarie, poco professionali. Il rapporto probabile sia curato invece dagli iraniani o dagli stessi siriani con cui i militari di Mosca condividono i comandi operativi.

Pare che ad Aleppo sia stata schierata anche la Zaslon, un’unità alle dirette dipendenze del ministero degli Esteri e della presidenza, è un’unità clandestina (“Zaslon” significa “schermo”) del cui dispiegamento in Siria si era parlato per la prima volta nell’ottobre del 2015, un mese dopo che la Russia aveva deciso di entrare direttamente in guerra con gli attacchi aerei, e senza impegno ufficiale a terra. La Zaslon è una polizza assicurativa con cui il Cremlino compie i lavori non ufficiali.

La presenza delle forze speciali russe sul campo, che secondo gli esperti sentiti dal WSJ sarebbero le stesse che Mosca ha schierato in Ucraina, non è un dettaglio tecnico militare, ma è un aspetto che spiega il peso politico che la Russia ha dato alla riconquista di Aleppo. La seconda città siriana è considerata un passaggio cruciale per far cambiare verso alla guerra, tanto che Mosca voleva “assicurarsi che Aleppo fosse saldamente nelle mani del presidente siriano Bashar al-Assad prima che gli alleati cercassero di riavviare i negoziati sul futuro della Siria” scrive il giornale di Wall Street. E infatti il presidente russo Vladimir Putin ha detto venerdì, dopo il successo delle forze siriane, “che era il momento di perseguire un accordo di pace”.

Ad accompagnare il dispiegamento speciale di forze, c’è stato il lavorio diplomatico: queste le due componenti che hanno permesso lo scacco definitivo su Aleppo, dopo quattro anni di battaglie. Inviati speciali di Russia, Siria e Turchia si sono incontrati tra Mosca e Damasco, si sono mosse le alte sfere militari – dove la componente armata si sovrappone a quella del dialogo militare. E su Twitter sono riapparse immagini sul macchinatore massimo di questo genere di attività, ripreso probabilmente ad Aleppo: il generale iraniano dei reparti speciali Quds, Qassem Suleimani, eminenza grigia dietro alle partecipazioni iraniane in Medio Oriente – quelle collegate alle attività politico-militari delle milizie, in Iraq, Siria, Libano, Yemen – e colui che è quasi idolatrato dalle milizie sciite combattenti e ha un intimo accesso ai ministeri e ai comandi del Cremlino; come un anno fa, quando i viaggi estivi a Mosca del generale anticiparono le operazioni russe in Siria.

 (Foto: Twitter)



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