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Scott Pruitt, ecco idee e sorprese dell’uomo che guiderà l’ambiente alla Donald Trump

Sarà Scott Pruitt a guidare L’EPA, l’Environmental Protection Agency, ossia il ministero dell’Ambiente nella prossima amministrazione americana che dal 20 gennaio sarà comandata da Donald Trump. La scelta dà un segnale chiaro sulle posizioni che la Casa Bianca avrà nei confronti delle questioni climatiche: Pruitt è indicato dai maggiori giornali liberal americani come un “negazionista” del cambiamento climatico (esempio: il New York Times mette il termine sul titolo del pezzo che dedica al pick presidenziale). Se quando il 6 dicembre gli ambientalisti avevano visto uno spiraglio con l’incontro tra Al Gore, guru della lotta al climate change obamiana, e Ivanka Trump (incontro tenuto dalla daughter-in-law nella Casa Bianca newyorkese sulla Quinta e definito da Gore “una sincera ricerca di aree di un terreno comune”), la nomina di Pruitt potrebbe affossare parecchie aspettative. La linea presidenziale potrebbe meglio indirizzarsi verso gli annunci della campagna elettorale: rilanciare l’industria dei combustibili fossili (tassello anche per aumentare gli impieghi e migliorare l’economia) e forse sospendere gli incentivi alle aziende delle rinnovabili. Tutto l’opposto, insomma, del predecessore Barack Obama che con il Clean Power Plan (definito da Trump in campagna elettorale “una guerra al carbone”) aveva cercato di ergersi a paladino ambientalista globale assumendosi l’onore come più grande economia del mondo di ridurre le emissioni, favorire le energie verdi e lavorare per bloccare i cambiamenti climatici (Obama nel victory speech per la nomination democratica del 2008 disse che la sua candidatura alla presidenza segnava “il momento in cui l’aumento del livello degli oceani avrebbe cominciato a rallentare e il nostro pianeta iniziato a guarire”).

COSTITUZIONE E AMBIENTE

Pruitt, procuratore generale repubblicano dell’Oklahoma, Stato ricco di risorse energetiche, ha lottato contro il quadro normativo di Obama definendolo incostituzionale (in realtà anche la Corte Suprema ha espresso riserve sul fatto che andasse troppo in là, un modo con cui una decisione centralista presidenziale andava troppo contro le libertà federali, e ora è bloccato; ricorda il Wall Street Journal che Trump può passarci l’accetta dell’executive order e chiudere la faccenda, anche se resterebbe in piedi il Clean Air Act del 1970). Il suo programma il futuro ministro l’ha affidato a un commento pubblicato a maggio sulla conservatrice National Review, e co-firmato con un altro procuratore generale repubblicano, Luther Strange dell’Alabama. I due ai tempi erano in prima fila in un battaglia, sostenuta dai migliori produttori di energia fossile del paese e da 28 Stati, sulla legalità di alcune procedure avviate da alcuni loro colleghi democratici che avevano deciso, spiegano loro stessi, di indagare penalmente le compagnie petrolifere e del gas che hanno contestato gli studi secondo cui il riscaldamento globale è una questione “man-made”, opera dell’uomo. Parlando delle pressioni delle lobby ambientaliste e delle rinnovabili, Pruitt e Strange scrivevano: “Gli scienziati continuano a non essere d’accordo circa il grado e l’entità del riscaldamento globale e la sua connessione con le azioni degli uomini. Questo dibattito dovrebbe essere incoraggiato, in aule, forum pubblici, e nelle sale del Congresso. Non dovrebbe essere messo a tacere con minacce di azioni. Il dissenso non è un crimine”. Da questa contestualizzazione, come ricorda Mattia Ferraresi sul Foglio, nasce il claim di Pruitt “il dibattito è ben lontano dall’essere concluso”, usato dai democratici per accusarlo di quel negazionismo, fino al punto che il consigliere senior di Obama Dan Pfeiffer ha scritto su Twitter che, “a rischio di essere drammatico”, la nomina di Pruitt all’Epa è “una minaccia esistenziale per il pianeta”.

REPUBBLICANI E CAMBIAMENTI CLIMATICI

Mentre gli scienziati hanno effettivamente trovato delle connessioni tra il riscaldamento globale e le attività antropiche, sebbene siano una concausa, nel transition team ci sono elementi che vi si approcciano con molto scetticismo – per esempio Thomas Pyle e Doug Domenech hanno sostenuto che le prove del cambiamento climatico si basano più che altro su modelli di dati –, e perfino alcuni come Myron Ebell, finora capo del settore Ambiente dello staff provvisorio, che si è posto su un livello ancora più radicale di quello di Pruitt, negando completamente l’esistenza dell’intero processo dei cambiamenti climatici. Anche Trump nel 2012 l’aveva definito “una bufala”. E anche Steve Grovens, membro del settore Esteri del transition team, sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero tirarsi fuori sia dall’accordo sul Clima di Parigi sia dai protocolli dedicati nell’ambito delle Nazioni Unite – anche Trump aveva promesso di uscirne durante la campagna elettorale e “smantellare” l’Epa. Una linea che incontra parte della pancia repubblicana, ma non tutto il partito, per esempio, Oren Cass, che ha guidato lo staff che si è occupato di politica interna per Mitt Romney, pur criticando l’approccio “esasperato” dell’Amministrazione Obama, ha sostenuto che sarebbe necessario che i repubblicani riconoscano la validità delle relazioni di sintesi delle Nazioni Unite sul clima. Il punto di congiunzione finale potrebbe essere Ivanka: Politico ha scritto che una persona vicina alla figlia di Trump ha riferito che lei si occuperà di sensibilizzare il padre al problema del clima. Ma in fondo alcuni analisti sostengono che anche Pruitt non sia un negazionista radicale, ma piuttosto si è impegnato – e lo farà ancora più guidando l’Epa – per garantire che le politiche di Washington rispettino la libertà di legislazione dei singoli stati che sono “nella posizione migliore per regolamentare”: una questione politico-ideologica, più che scientifica.

(Foto: Wikicommons)

 


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