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Come funzionerà il Mattarellum (e che effetti avrà)

Edmund Burke Daniele Capezzone, mattarellum

Dunque, si riparla del Mattarellum (75% di collegi, 25% di proporzionale) come base per la legge elettorale. Può essere un punto di partenza ragionevole. Anzi, tra le ipotesi in campo è per distacco la migliore.

Tuttavia, oggi è il caso di dedicare qualche parola per ricostruire i fatti di quel secondo semestre 1993, per evitare che i soliti commentatori-mainstream, con corredo di politici smemorati, provino a scrivere un’altra paginetta di “enciclopedia sovietica”, sia pure con l’inevitabile condimento di italianissime vongole.

Il referendum elettorale fortemente voluto (grande merito storico) da Mario Segni, Marco Pannella e un fronte più vasto, per ragioni tecniche (fu anzi un miracolo aggirare la terrificante giurisprudenza referendaria della Corte Costituzionale) non poteva che essere scritto come fu scritto, con un “ritaglio” sulla normativa vigente dal quale scaturiva un sistema 75-25. Ma la spinta popolare (oltre l’80% dei Sì nella primavera del ‘93) a favore del maggioritario era stata chiarissima, direi inequivocabile.

Invece, il Parlamento, chiamato a tradurre il risultato referendario in una legge elettorale applicabile sia alla Camera che al Senato, “imbalsamò” la quota proporzionale, e vi aggiunse un meccanismo diabolico (lo scorporo) che finì per ultraproporzionalizzare e imbastardire la legge. Invano Pannella e Segni cercarono di ammonire su ciò che stava accadendo…

Di che si trattava, in particolare? Lo scorporo introduceva una sorta di sottrazione di voti (nella misura del margine che aveva consentito la vittoria al candidato nel collegio uninominale) a danno della lista proporzionale corrispondente. Con l’effetto perverso di spingere i candidati della lista proporzionale del partito “x” ad augurarsi la sconfitta del loro compagno di partito nel collegio uninominale corrispondente, per poter avere più chances nel recupero proporzionale.

Morale: anziché spingere verso il bipartitismo, si finiva per favorire un più tenue bipolarismo, tra partiti litigiosi e reciprocamente sospettosi, pronti – un minuto dopo il voto – a sfasciare la coalizione pur di riprendere la propria autonomia. Nacquero così cartelli elettorali sufficientemente larghi per vincere, ma insufficientemente coesi per governare. Il resto è storia che tutti ricordano, con il fallimento politico, alla prova del governo, sia del vecchio centrodestra sia del vecchio centrosinistra. Non solo per questa regione, certo: ma anche a causa della dinamica perversa innescata da quella diavoleria elettorale.

Non a caso, negli anni successivi, meritoriamente, sia Mario Segni sia i radicali cercarono di insistere per “ripulire” il meccanismo, avvicinandosi alla chiarezza del modello anglosassone (con quesiti referendari mirabilmente elaborati da Emilio Colombo, Marco Nardinocchi, Federico Fischer). Teniamolo a mente, nelle prossime settimane.


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