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Come scuotere la stagnante Europa

Vincenzo Boccia

Tante belle idee ma tutte, più o meno, incompiute. Per l’Europa appena catapultata nell’era Trump e mai come ora a rischio populismo, non è certo una novità. Stavolta però c’è il fattore tempo a mettere più fretta al governo di Bruxelles e ai leader dei Paesi membri. Il conto alla rovescia è d’altronde iniziato. O l’Europa esce definitivamente dalla crisi nei prossimi mesi, o sarà dura fermare la protesta dei cittadini dell’Ue, che già nel Regno Unito, con la Brexit, e in Francia, con l’exploit della destra, hanno dato un assaggio di malessere. Un ripasso dell’agenda è arrivato ieri mattina dalla Febaf, la federazione italiana delle banche e delle assicurazioni, che ha riunito nella cornice delle Scuderie di Palazzo di Palazzo Altieri un gotha composto di imprenditori, banchieri, ministri e membri della nomenklatura Ue, in occasione del Rome investment forum. Tutti più o meno convinti di una cosa. O l’Ue trova la quadra sui principali dossier economico-finanziari, Unione bancaria in primis, oppure lo sgretolamento dell’Unione sarà presto più di una semplice percezione.

UN CONSIGLIO A GENTILONI

Il padrone di casa, Luigi Abete, presidente Febaf, è partito da un dato. E cioè che in Italia si investe ancora troppo poco, addirittura meno della media Ue. “La percentuale degli investimenti in rapporto al Pil in Italia è pari al 16,3%. Meno non solo rispetto ai Paesi emergenti, ma alla stessa media dei Paesi membri, che viaggia intorno al 19,3%”. La colpa? “Scarsa fiducia, istituzioni europee spaccate e mancanza di vere politiche comuni”. Il primo ad essere chiamato in causa è stato ovviamente il neo-premier Paolo Gentiloni, reduce dal suo primo Consiglio europeo. “Abbiamo bisogno di una più complessiva agenda di riforme che sia coerente con quella europea ma capace anche di influenzarla positivamente”. Perché “gli ultimi timidi dati in Italia e in Europa non bastano a invertire la tendenza del calo generalizzato degli investimenti”. Di qui, una strizzatina d’occhio a Donald Trump, da cui forse, ha detto Abete, qualcosina di dovrebbe imparare, se non altro in materia di investimenti. “Negli Stati Uniti Trump dopo le elezioni ha subito annunciato un piano di investimenti per le infrastrutture da 1.000 miliardi”, ha rimarcato il presidente di Bnl e numero uno di Febaf.

BOCCIA (CHE TIFA MEDIASET) E QUEI RITARDI SULLE BANCHE

E se Confindustria stesse lentamente raffreddando i suoi entusiasmi verso Palazzo Chigi? Il giudizio sull’eredità di Matteo Renzi è parso abbastanza duro, almeno a sentire le parole del presidente Vincenzo Boccia. Il numero uno degli industriali, in una pausa dei lavori, si è schierato a favore di Mediaset nella vicenda che vede il Biscione sotto attacco francese. E se di vuole parlare di crescita, si deve necessariamente affrontare il problema della salute delle banche, visto che ancora oggi sette imprese su dieci pongono come prima fonte di finanziamento il prestito bancario. L’Italia in Europa, ha rimarcato Boccia, “è il Paese che ha investito meno nelle sue banche, mentre gli altri paesi hanno investito sul sistema finanziario bancario. E le banche sono il nodo di sviluppo essenziale per la crescita economica”.

UNIONE BANCARIA CERCASI (DISPERATAMENTE)

Banche sane però vuol dire anche una sovrastruttura in grado di costituire quella rete di regole comuni utile a superare le crisi patrimoniali cui ormai siamo abituati. E’ quell’unione bancaria che ancora manca all’appello e che secondo Abete, Boccia e Roberto Gualtieri, parlamentare europeo e presidente della commissione economica dell’Ue, rappresenta il vero salto di qualità. “Occorre una dimensione europea per la questione bancaria quindi l’unione bancaria europea va completata”, ha detto Boccia. “E’ una grande occasione ma così com’è non è perfetta né tantomeno completa”. La colpa di tale stallo si chiama terzo pilastro dell’unione bancaria, ovvero l’assicurazione comune dei depositi (Edis) che permetterebbe di uniformare il sistema di controllo e di responsabilità per la protezione dei depositanti, e che si aggiungerebbe a primi due, già avviati, che sono il sistema di vigilanza unico presso la Bce delle banche europee di maggiori dimensioni e il meccanismo di risoluzione unico, che prevede una serie di strumenti a disposizione del regolatore in caso di insolvenza da parte delle banca, tra cui il temuto bail-in). Ed è proprio l’aspetto dei depositi che spacca l’Ue e frena il progetto. I tedeschi che vedono in questo strumento una modalità di ripartizione delle perdite a livello europeo che poco tollerano. L’Edis prevede infatti la costituzione di un fondo unico europeo che protegga i depositi sopra i 100.000 euro in caso di crisi di una banca. Ciò significa che i contributi versati al fondo europeo dalle banche tedesche potrebbero andare a rimborsare clienti di banche italiane, greche o spagnole. Un colpo durissimo per Angela Merkel, un boccone troppo amaro da far digerire ai tedeschi.

PADOAN E L MEA CULPA SUL PIANO JUCKER

Alla kermesse della Febaf è intervenuto anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il quale ha invitato a riconsiderare l’importanza del piano Juncker per gli investimenti. Forse “troppo spesso” bistrattato “anche forse da me, che più volte ho espresso critiche. Invece è un valido strumento per l’Italia e l’Europa”. Il ministro dell’Economia ha rivendicato risultati del governo sulle politiche del lavoro. “Il mercato del lavoro continua a migliorare grazie a misure di sostegno e riforme che hanno inciso sul suo funzionamento profondo» ha detto Padoan, senza citare direttamente il Jobs Act ma riferendosi alle riforme in materia di occupazione. L’economia italiana, ha aggiunto, «sta facendo progressi, è in ripresa da quasi tre anni dopo una recessione senza precedenti”.

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