Chi si ricorda più delle tanto bistrattate trivelle? Se ne’è parlato a dismisura (e a sproposito) nella primavera scorsa, quando in occasione del fallimentare referendum voluto da alcune Regioni si è tentato di azzoppare un settore strategico dell’industria energetica italiana come quello dell’offshore (qui la raccolta di bufale sul tema ad opera di Formiche.net). Lontano dall’interesse della grande stampa, fuori dalle polemiche referendarie, nei giorni scorsi a Roma è stata sottoscritta un’intesa destinata a fare scuola in questo campo, un accordo in gestazione da tempo (qui l’anticipazione) tra Ministero dello Sviluppo economico e Regione Emilia-Romagna.
I PROTAGONISTI DELL’INTESA
Dietro a questa intesa c’è stato il ruolo chiave giocato dal consigliere del Pd in Emilia-Romagna Gianni Bessi, abile a tessere relazioni lungo la direttrice Bologna-Roma e che da queste colonne ha spiegato in più occasioni perché la sua Regione non si sia fatta travolgere dalla demagogia No-Triv. Un contributo decisivo è arrivato poi dal governatore Stefano Bonaccini (nella foto), che oltre a essere presidente della Conferenza Stato-Regioni è stato anche tra i pochi presidenti di Regione del Pd a non schierarsi in favore del referendum sulle trivelle; senza dimenticare l’assessora regionale alle Attività produttive Palma Costi. Sul fronte Mise, l’avvento di Carlo Calenda alla guida del dicastero dopo la defenestrazione di Federica Guidi ha sicuramente dato un’accelerata all’accordo. Sono stati coinvolti anche i sindacati confederali dell’Emilia-Romagna, convinti che il distretto dell’offshore ravennate vada salvaguardato nel rispetto dell’ambiente, per non disperdere posti di lavoro.
CONIUGARE LAVORO, AMBIENTE E SICUREZZA
Se ne parla come di un’intesa pilota per la gestione delle attività in mare, perché può essere replicata dal Mise anche nel confronto con altre Regioni, se non addirittura costituire una base per un’interlocuzione con la stessa Conferenza Stato-Regioni. Fatto sta che il protocollo sottoscritto tra Ministero e Regione punta a coniugare la tutela dell’ambiente marino, della costa e delle attività turistiche con le istanze economico-industriali delle estrazioni offshore per la ricerca e coltivazione di idrocarburi, migliorandone la sicurezza. Come? Con accordi di monitoraggio, studi, progetti e azioni pilota che prevedano l’integrazione delle attività con i programmi e i progetti di sviluppo turistico, produttivo e di monitoraggio scientifico. Si va così dallo sviluppo di tecnologie innovative per il “decommissioning” finalizzate al riuso delle piattaforme per l’estrazione metanifera alla la formazione di “atolli” ambientali e luoghi di ricerca internazionale nell’ambito dei Programmi della Macroregione Adriatico-Ionica.
I PUNTI DELL’ACCORDO
A riassumere i principali punti dell’accordo ci ha pensato la stessa Regione Emilia-Romagna in una nota inviata alla stampa in occasione della presentazione del documento avvenuta di recente a Ravenna. Si parte dalla cosiddetta blue economy coniugata con la produzione di energia rinnovabile (ecolica e fotovoltaica in particolare), che si sostanzia nella creazione di barriere artificiali (“artificial reef”) per la ripopolazione delle specie ittiche e in progetti di tutela dell’ambiente marino e delle zone costiere. C’è poi il cosiddetto “Modello Cavone” che si rifà alle esperienze del Cavone, in provincia di Modena e di Minerbio, in provincia di Bologna, dove i siti di estrazione di idrocarburi sono stati trasformati dopo il terremoto del 2012 in laboratori scientifici d’avanguardia per il monitoraggio sismico in relazione alle attività estrattive. “La stessa attività scientifica – informa la Regione -, con il contributo dei principali istituti di ricerca nazionali, sarà replicata anche sulle piattaforme offshore. Verrà scelto un sito pilota, dove sperimentare il monitoraggio, i cui dati ‘saranno resi accessibili con la dovuta trasparenza e diffusione sui siti istituzionali”. Al contempo, continua l’istituzione, “le piattaforme offshore in alto mare verranno sfruttate, con le migliori tecniche disponibili, per lo studio della subsidenza indotta dalla coltivazione degli idrocarburi in ambito offshore, i cui effetti potrebbero causare erosione costiera e ingressione del mare nell’entroterra. E ancora, verrà sviluppato un progetto di studio sugli aspetti legati alla qualità delle acque, dei sedimenti e del biot”. Ce n’è anche per i concessionari delle attività offshore, cui verrà chiesto di contenere i livelli di contaminazione sia per la qualità ambientale sia per la salvaguardia della salute dei consumatori dei prodotti commercializzati. Chiude il cerchio la possibilità di utilizzare le piattaforme in alto mare anche per scopi alternativi e di finalità turistico-ricreativi, come immersioni subacquee, pesca sportiva e wellness, fino alla conversioni delle piattaforme in stazioni oceanografiche o di trasmissione wifi in banda libera.