Il presidente Gentiloni ha completato con la nomina dei sottosegretari la composizione del suo governo. E’ nel pieno delle sue funzioni. Può, dunque, esplicare la sua azione senza limiti, a trecentosessanta gradi, soprattutto senza limiti di tempo. Almeno fino a quando non ci sarà in Parlamento un palese voto di sfiducia. Evento tra i più probabili. Un diniego della fiducia all’esecutivo di Paolo Gentiloni potrebbe arrivare dal fuoco amico del Pd, in nome di una falsa teoria sul superiore interesse nazionale.
La verità è che solo Renzi scalpita e vuole votare a tutti i costi, immaginando di poter recuperare il pessimo risultato nel referendum del 4 dicembre, riprendendo, a suo avviso, posizioni di dominio nella politica nazionale. Tutte le altre forze politiche però non hanno alcuno stimolo o esigenza, per andare alle urne al più presto, forse, ma forse solo Salvini. Anzi, i partiti sarebbero contenti di rinviare lo scioglimento delle Camere sine die. C’è quindi una parte del Pd la cui estensione è ignota allo stato attuale, che mistificando sostiene che il Paese non può vivere nell’incertezza, e allora è meglio andare a votare subito, senza neppure aspettare il responso sull’Italicum della Corte Costituzionale del 24 gennaio. Caso mai col Mattarellum, che in tanti non condividono, e che il M5S considera strumento utile solo a fregare i propri candidati, per cui è di difficile applicazione.
C’è stata sull’argomento una sortita di Zanda, poi di Guerini e infine di Orfini, le prefiche di seconda fila della dirigenza del partito del Nazareno, che per l’occasione stanno recitando la stessa nenia a favore del voto immediato, non preoccupandosi di calpestare le regole istituzionali e le stesse prerogative del Capo dello Stato, e neppure dello spaventoso baratro che si potrebbe aprire per il partito di Renzi. In discussione non c’è solo la legge elettorale, piuttosto si ha la sensazione che all’orizzonte ci sia una svolta politica post-Renzi, che chiude un ciclo politico-istituzionale durato oltre un ventennio.
Il Pd non può pensare di ritornare ad essere fondamento unico del governo del Paese, senza valutare quanto accaduto, non solo negli ultimi anni ma anche in quelli precedenti. Bisogna prendere atto che ormai l’epoca iniziata nel 1994 e durata sino ad oggi si è conclusa. La Dc nel 1993, quando i referendum di Mario Segni furono approvati dagli italiani con consenso chiaro, capì che il suo ciclo politico era finito, e che non serviva stare lì ad impiccarsi a cavilli e ripicche. Abbandonò spontaneamente, lasciando nelle mani di altri il destino del Paese: i partiti e gli uomini politici attuali.
E’ questa una fase molto delicata della nostra democrazia. Nessuno può ritenere che si è in un tempo ordinario della vita degli italiani. Dal 2007 si vive una condizione pre-bellica, bellica, post-bellica (almeno si spera). Le guerre non si combattono più solo con le armi da fuoco. Oggi c’è il terrore economico/finanziario. Allora, è necessario che ci sia un’assunzione di responsabilità straordinaria da parte di tutti, per riportare l’Italia sui binari della normalità democratica, senza farsi abbagliare da slogan ad effetto e da scorciatoie elettorali pericolose. Il buongoverno dell’Italia è al di sopra di tutto.