Certo, alla base del “clamoroso” risultato referendario vi sono i riflessi di una crisi che ha annichilito il bel paese e che, in alcune situazioni, morde ancora: disoccupazione giovanile, disagio sociale, crisi aziendali che hanno coinvolto interi territori come la Sardegna. Tutto verissimo e tutto testardamente difficile da affrontare per qualsivoglia governo. Ma una cosa appare altrettanto certa, nella inattesa quanto dura sconfitta di domenica 4 dicembre c’è molto del “premier ragazzino” di colui che aveva fatto sognare, sperare, rianimare anche le situazioni più disilluse di un’Italia ripiegata su se stessa .
Dunque, lezione dura per colui che era divenuto la “buona novella”, la speranza!
Nei “famigerati” 1000 giorni lastricati di belle e buone intenzioni, molti sono stati i passi falsi: l’inelegante defenestrazione di Letta, la “buona scuola” che, nonostante le molte risorse allocate e la volontà di assumere tutti i precari, ha creato un caos mai visto prima, le inutili forzature su una legge elettorale – l’Italicum – ormai sconfessata da tutti.
Piccole crepe di un sisma latente con tre eventi ad elevatissima magnitudo che hanno minato le fondamenta del “progetto” renziano: l’inutile strappo su Mattarella (che ha portato alla rottura del patto del Nazareno, al disimpegno di Berlusconi ed a riforme condotte a colpi di maggioranza), il “micidiale” decreto salva banche (o, per meglio dire, “affossa risparmiatori”) e, l’incomprensibile inerzia sulla legge elettorale (che poteva – con buon senso e l’accordo di molti – essere rivista prima del voto anche con un – ben riposto- voto di fiducia).
Furbizia, disarmante approssimazione e sufficienza: peccati che in politica – inevitabilmente – si pagano e che – sia altrettanto ben chiaro – non hanno affossato il “progetto” di rinnovamento (di istituzioni, partiti e classe dirigente) che Matteo Renzi ha – per buonissima parte della sua ascesa politica – incarnato e di cui l’Italia – Renzi o non Renzi – non potrà fare a meno.
Quindi la sconfitta non archivia la proposta renziana né colui che l’ha ideata e per molto tempo incarnata. La sportellata archivia -c’è da augurarselo per lo stesso bene politico dell’ex-Sindaco- il renzismo: quella spocchia che ha affossato la simpatia e l’empatia con il popolo italiano.
Non è questione di odio (le parole attribuite al Premier: “non pensavo che mi odiasse tanta gente” sono assai eloquenti sulle difficoltà di analisi) ma di sostanza politica. L’Italia ha bisogno di essere cambiata. E l’Italia ha ancora bisogno del “sogno renziano”, non certo di un “condottiero” (con o senza stivali).