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Perché temo l’agonia dell’Occidente

Quando si parla di Francia, Inghilterra, Italia, Belgio, Germania, Olanda, Spagna e altre nazioni europee, si tende a considerarle come dati di fatto. La qualità della vita è buona, il lavoro è poco impegnativo, le vacanze in arrivo, la guerra è stata abolita, la gente è in salute, abbiamo un reddito tale che ci consente di prenotare i prossimi spettacoli, di cui vi è una scelta più ampia che mai. È bello oziare in una brasserie, ordinare un café au lait, osservare il mondo che passa. Cosa c’è da preoccuparsi? Così si elaborano i piani per il XXI secolo partendo sempre dal principio che queste entità, questi paesi, sempre esisteranno, nel 2030, come nel 1930. Beh, non necessariamente.

“Noi le civiltà ora sappiamo che siamo mortali”, ha scritto Paul Valery. Una nazione è totalmente dipendente dalla sua demografia e può scomparire o trasformarsi radicalmente e molto rapidamente nel caso si verifichi un crollo del tasso di natalità. È quella che è stata chiamata la “peste bianca”. È quello che sta succedendo in Occidente.

L’espressione fu coniata da un grande storico francese, Pierre Chaunu, in un libro per Gallimard del 1976, per dire che oggi la disaffezione a procreare ha, nei paesi progrediti dell’Europa, conseguenze simili alla peste nera che decimò la popolazione. Per Chaunu, il tasso di natalità in declino è come la peste e la guerra. Studiando le statistiche demografiche dell’Europa occidentale, Chaunu vide che improvvisamente, nel corso degli anni Cinquanta, ci fu una brutale caduta demografica nella città di Berlino. Non fu un incidente passeggero, scriveva Chaunu, ma il simbolo di un’Europa che aveva scelto il suicidio demografico.

A partire dagli anni Cinquanta, il tasso di natalità in Europa è sceso da 2,7 a 1,38, ovvero il 34% in meno del 2,1 che rappresenta il numero medio che ogni coppia deve concepire per garantire la sopravvivenza di una società. “Mai quanto negli ultimi seicentocinquant’anni, dai tempi della peste nera, i tassi di natalità e fecondità sono scesi così velocemente, così in basso, per tanto tempo”, scrive il sociologo Ben Wattenberg nel libro Fewer.

È l’“inverno demografico”, definizione data da Gérard-François Dumont, direttore della rivista Popolazione e futuro e docente alla Sorbona. Nel 2016, per la prima volta nella storia, l’area dell’Unione Europea ha registrato più morti che nascite. Mai nella storia nazioni prospere e pacifiche avevano ancora scelto di scomparire dalla faccia della terra. Eppure questo è ciò che gli europei hanno scelto di fare.

Dalla caduta di Roma, agli imperi Maya alla Morte Nera, alla colonizzazione del Nuovo Mondo, le tendenze demografiche hanno svolto un ruolo determinante in molti sconvolgimenti storici. A Genova oggi c’è una cosa che manca e che ne fa “la città più vecchia d’Europa”: le risate dei bambini. Cosa succede a una società che prescinde dal desiderio procreativo? Nel libro Minimum, il compianto scrittore tedesco Frank Schirrmacher ha parlato di una “spirale di denatalità”, nella quale una popolazione in calo diviene sempre più riluttante a fare figli. È la tendenza suicida dell’Europa contemporanea.

Stiamo osservando la nostra agonia? Stiamo assistendo alla morte della civiltà occidentale, come Vegezio durante il declino dell’Impero romano? E che forma prenderà questo autunno annunciato? La violenta tensione o la pacifica diluizione? La dissolvenza delle élite o le invasioni barbariche?

La storia dell’11 settembre e quello che ne è seguito è la storia di una disfatta militare e culturale che ha rivelato la debolezza e la decadenza dell’Occidente. Osama bin Laden, che non aveva mai visitato New York, riteneva che la grandezza e la potenza dell’Occidente erano solo apparenti. Di fronte a un colpo brutale, l’Occidente sarebbe stato troppo ipocrita per lanciare una risposta efficace contro gli attacchi. Il decennio appena passato sembra aver confermato questa terribile intuizione. La verità è che la nostra civiltà sta crollando. È durata 1.500 anni. E mai quanto oggi la parola “occidente” è associata al crepuscolo e di “occidentale” conserva soltanto il nome.

Numerose nazioni, tra cui la Spagna, la Germania, il Portogallo, la Polonia, l’Italia, la Corea del Sud e la Repubblica Ceca, hanno oggi un tasso di natalità tra 1,0 e 1,3. Alcune di esse sono già segnate da una rapida riduzione della popolazione. Generazioni di bambini stanno crescendo senza fratelli o sorelle, e una notevole percentuale di uomini e donne residenti nelle nazioni più avanzate del mondo non avranno mai figli e moriranno da sole.

Se la demografia è il destino, l’Italia sta morendo. Letteralmente. A partire dal 1994, ogni anno il numero delle nascite è superato dal numero di morti. Questo paese cattolico che è sempre stato stereotipato come la terra delle grandi famiglie ha raggiunto uno dei livelli più bassi al mondo di fertilità: 1,3 figli per donna. In gergo tecnico si dice “baby crack” o “baby slump”. L’Italia, dati Istat, non registrava così poche nascite dal 1861. Dai tempi dell’Unità d’Italia. La “piramide delle età” si sta rovesciando. L’Italia è un paese che muore e che ha già perso una generazione. Un paese dove presto i soli famigliari di sangue saranno i propri genitori.

Nel 1880 Milano era abitata da 350.000 persone. In quell’anno nacquero 10.000 bambini. Oggi Milano è abitata da 1.343.000 persone, ma quest’anno sono nati comunque 10.000 bambini. Quindi, mettendo i numeri in rapporto, 132 anni fa nascevano il quadruplo dei bambini di oggi.

Ma se c’è un “ground zero” per l’epidemia di bassa fertilità è Bologna, città rossa e borghese, dove le donne partoriscono in media meno di un bambino. Bologna ha il più elevato livello di istruzione delle donne rispetto a qualsiasi altra regione del paese, ed è la “capitale della cultura” (qui insegnava Umberto Eco). Ma ci sono più chiese rinascimentali (vuote) che bambini. “L’Emilia guida a livello nazionale e forse a livello mondiale una linea mirante alla disgregazione della famiglia e alla vanificazione della sua identità”, disse il cardinale Giacomo Biffi, nemesi della cultura egemone.

Come spiegarsi che aumentano le auto pro capite, i viaggi pro capite, i beni materiali pro capite, ma diminuisce soltanto il numero di bambini pro capite? Non cresciamo economicamente anche perché le culle sono da trent’anni vuote. Apriamo i talk show e vediamo ogni sera sindacalisti che parlano degli anziani come della nostra più grande risorsa, come un bene da proteggere e soddisfare. Nessuno parla di aiuti alla vita.

In Parlamento si discute soltanto di adozioni e diritti gay. Andiamo nei supermercati e ormai il reparto di prodotti per l’infanzia è più piccolo di quello dedicato alla cura degli animali. Siamo un paese in preda al languore e al compiacimento. “Può una nazione morire?”, ha chiesto la rivista Foreign Policy. Sì, di cause naturali, come certi atolli delle Maldive sommersi dalle acque che salgono. O di cause militari, come il regno di Aragona. Ma può morire anche di demografia. È il caso dell’Italia.


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