Mps si gioca l’ultima carta per fare funzionare il “piano A” per la sua salvezza. Con il via libera della Consob presieduta da Giuseppe Vegas (nella foto), è stata riaperta l’offerta di riacquisto delle obbligazioni subordinate, con successivo obbligo di reinvestire il ricavato in azioni di nuova emissione (ecco perché si parla di conversione).
I DETTAGLI DELL’OFFERTA
Dal 16 dicembre fino alle ore 14.00 del 21 dicembre la banca chiederà di nuovo agli obbligazionisti la conversione dei loro titoli in azioni. Si tratta di una operazione fondamentale per il salvataggio dell’istituto, poiché consente di abbassare l’ammontare dell’aumento di capitale, da completare entro la fine dell’anno e per cui l’asticella massima è stata fissata a 5 miliardi di euro. Alla prima offerta avevano risposto per lo più investitori istituzionali, per poco più di 1 miliardo di euro, che per ora andranno quindi ad abbassare l’aumento di capitale in area 4 miliardi. L’obiettivo di Mps, a questa riapertura dell’offerta, è di convincere alla conversione i piccoli risparmiatori, i cosiddetti “retail”, che potrebbero apportare intorno ai 2 miliardi (se così fosse i soldi da chiedere al mercato scenderebbero a 2 miliardi, cifra più realistica da ottenere entro fine anno).
LA CONTRADDIZIONE
Ma dietro a questa operazione si nasconde quella che secondo alcuni potrebbe essere una contraddizione. A questa nuova offerta sui bond subordinati potranno infatti partecipare i piccoli investitori che di fatto erano stati esclusi da quella precedente, perché il loro profilo di rischio sulla base della cosiddetta Mifid non lo avrebbe consentito. In pratica, perché si potesse riaprire l’offerta, Consob ha dovuto imporre paletti e regole meno stringenti. E la contraddizione starebbe proprio qui: oggi vengono considerati idonei alla conversione piccoli investitori che fino a pochi giorni fa non erano ritenuti tali. Bisogna però considerare che quella di Mps per fare funzionare il piano A è una corsa disperata contro il tempo e che ogni giorno che passa la situazione peggiora. Se lo schema dovesse fallire, scatterà il piano B del paracadute statale se non addirittura il bail-in, cioè il salvataggio della banca con le nuove regole. In entrambi i casi, gli obbligazionisti, compresi i più piccoli, rischiano di essere fortemente penalizzati a condizioni peggiori di quelle insite nell’attuale offerta. Da qui la decisione di allentare le maglie.
NODO LIQUIDITA’
Del resto, la condizione in cui al momento si trova a operare la banca è quanto mai complessa. Dall’aggiornamento del prospetto sull’aumento di capitale, emerge che la banca ha perso 6 miliardi di euro di “raccolta diretta commerciale” tra il 30 settembre e il 13 dicembre, “di cui 2 miliardi dal 4 dicembre 2016, data del referendum costituzionale”. Da notare che i sei miliardi si aggiungono ai 13,8 miliardi persi nei primi nove mesi del 2016, portando il saldo negativo a quasi 20 miliardi di euro.
IL PIANO DEL GOVERNO
Intanto, in caso di necessità, il governo è pronto a intervenire su Mps e sulle banche italiane in generale con un piano da 15 miliardi. Si tratta di una cifra che, appunto, dovrebbe garantire l’operazione sull’istituto senese, ma anche la difficile condizione delle ex popolari venete e delle quattro banche “salvate” nel novembre 2015 Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti. L’intervento pubblico, così come da regole europee, può essere previsto ma solo dopo la penalizzazione di azionisti e obbligazionisti subordinati della banca (per questi ultimi può anche scattare la conversione forzosa in azioni).