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Chi ha chiuso gli occhi su Mps e Banca Etruria

Edmund Burke Daniele Capezzone, mattarellum

E’ stato detto che in Italia essere buoni profeti è facile: basta prevedere il peggio. Purtroppo c’è del vero.

Nella primavera-estate del 2015, in occasione del recepimento della normativa europea sul bail in, i parlamentari conservatori e riformisti indicarono il rischio di frettolosità e superficialità con cui si affrontava il problema. Lo stesso parlamento e le stesse forze politiche che avevano dedicato mesi interi a discutere di temi assai meno rilevanti per cittadini e risparmiatori decisero invece di adottare in modo veloce e pressoché acritico la nuova normativa europea, ignorando ogni preoccupazione e osservazione.

In una logica liberale, non si trattava certo di riproporre o perpetuare la logica dei salvataggi di Stato, a spese dei contribuenti, con il bail out. Ma si spiegava, da parte dei conservatori e riformisti, che doveva esserci un’adeguata preparazione al passaggio alla nuova fase.

Chiedemmo in particolare che la Banca d’Italia venisse a informare tempestivamente sulle situazioni anche potenzialmente più critiche: e invece, in ogni sede, si ripetevano rassicurazioni sulla assoluta solidità delle nostre banche.

Inoltre, e questa era la nostra richiesta centrale, proponemmo una grande campagna di informazione a favore di investitori e risparmiatori, per ricordare la prima regola: differenziare, non mettere tutte le uova in un solo paniere. Ci sembrava il modo più saggio di informare (e tutelare) i cittadini. Una campagna capillare sulla Rai, sul servizio pubblico, come i governi ne hanno sempre fatte sui temi più marginali (perfino sugli orari delle discoteche). Ci hanno detto no.

Chi scrive è stato sostituito dalla maggioranza renziana a agosto 2015 dalla presidenza della commissione Finanze della camera, che ha tra le sue competenze quella sulle banche…

Poco dopo, in autunno, in occasione della nota crisi che ha coinvolto quattro istituti bancari italiani, i parlamentari conservatori e riformisti proposero di ricorrere al Fondo interbancario di tutela dei depositi: denaro privato, non pubblico, per una iniezione di capitale per le banche sofferenti. E invece l’esecutivo ha accettato di subire quello che fu presentato come un veto europeo.

In realtà, la lettera al governo italiano proveniente dalla Commissione europea, successivamente resa nota, pur nella sua ambiguità, lasciava uno spazio per una trattativa con le autorità europee. Sia per ricorrere al Fondo interbancario di tutela dei depositi, sia – su un altro piano – per ricorrere a dei warrant a favore degli obbligazionisti, secondo il modello utilizzato nel 1982 dopo la crisi del Banco Ambrosiano.

Tuttora non si comprende perché il governo italiano si sia fermato, rinunciando a una serrata trattativa con le autorità europee (trattativa portata avanti, invece, solo per ottenere gli “zero virgola” necessari a giustificare e coprire le mancette e le marchette elettorali di Renzi).

A partire dalla vicenda Banca Etruria, ho chiesto con una lettera pubblica al Governatore di Banca d’Italia di rendere noti (nelle forme – a sua totale scelta – consentite dalla legge, dalla privacy, dall’opportunità) i destinatari di mutui ed erogazioni, a qualunque titolo, che hanno portato allo sfascio di alcuni istituti e alla montagna dei crediti inesigibili. Risposta negativa.

Un’interrogazione del collega Maurizio Bianconi ha sollevato la storia contorta della Bcc di Cambiano e del riassetto del sistema bancario toscano (Chianti Banca, ecc), con il ruolo di Lorenzo Bini Smaghi. L’interrogazione è rimasta tuttora senza risposta.

Ma torniamo al quadro complessivo. Avevamo spiegato che il mostriciattolo “Atlante 1” non avrebbe funzionato, o comunque non sarebbe bastato. Ci hanno detto di no.

Da ultimo, sfiniti, avevamo spiegato che anche il nuovo mostriciattolo “Atlante 2” non avrebbe raccolto le risorse necessarie. Nonostante le pressioni del Governo, non si capiva perché mai investitori e fondi previdenziali avrebbero dovuto dare “l’oro alla patria” (anzi, l’oro a Renzi) per una discutibilissima operazione su Mps.

Avevamo suggerito (in un convegno da me organizzato nell’estate 2016 con una serie di personalità: da Alberto Mingardi a Natale D’Amico a Lamberto Dini) il ricorso all’Esm, cioè alla strada maestra del Fondo salva-stati. Meglio bussare subito volontariamente a quella porta (come fece la Spagna) piuttosto che aspettare che qualcuno – da dentro – uscisse fuori (o esca oggi!) minacciosamente per imporci condizioni ancora più umilianti. Ci hanno detto no.

Mentre Renzi sventolava gli pseudo accordi (Jp Morgan, Qatar, eccetera), favoriva la sostituzione della governance Mps, convocava o faceva convocare frenetiche riunioni, spiegavamo che era un’illusione attendere il referendum. La ricapitalizzazione non sarebbe avvenuta. E, indipendentemente dall’esito referendario, nessuno avrebbe messo 5 miliardi entro il 31 dicembre.

Personalmente, resto contrarissimo all’uso del denaro dei contribuenti, alle nazionalizzazioni, ai salvataggi pubblici. Segnalo peraltro, che, in base alle norme europee (anche nel quadro del bail in), lo stato può intervenire in circostanze eccezionali, ma nel quadro di un significativo “burden sharing”, cioè di una suddivisione degli oneri. Traduzione: per i “salvatori pubblici”, occorrerebbe comunque bastonare 40mila obbligazionisti subordinati (a meno che non si scelga la strada da noi proposta del warrant, che almeno potrebbe in futuro ristorarli un pochino…).

Queste cose ho potuto scriverle qui. Dirle in Parlamento, battendomi con i miei colleghi con emendamenti e mozioni. Ne ho potuto scrivere su Affaritaliani, Formiche.net e Italia Oggi. Mai un conduttore ha finora consentito di discuterne in significativi spazi radiofonici e televisivi. Mai un giornalone mainstream ha dato spazio a tutto questo. Gli stessi che ora vi “spiegheranno” tutto: come su Brexit, come su Trump, come su diverse altre cosette…


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