L’operazione di mercato per il salvataggio di Banca Monte dei Paschi di Siena è ufficialmente fallita. E per ricapitalizzare l’istituto senese scenderà in campo lo Stato che con un decreto legge ha appena messo a disposizione 20 miliardi di euro. In realtà la cifra non sarà utilizzata solo per Mps ma anche per le altre banche italiane in difficoltà, come Carige, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
IL FALLIMENTO DELL’OPERAZIONE DI MERCATO
Sta di fatto che a Siena è saltata l’operazione di mercato, composta da un aumento di capitale fino a 5 miliardi e dalla cessione di un maxi pacchetto di sofferenze del valore inziale di oltre 27 miliardi. E i vertici dell’istituto di Rocca Salimbeni, ossia l’ad Marco Morelli e il presidente Alessandro Falciai, che avevano disegnato il piano di salvataggio (basandosi su quanto fatto dai loro predecessori, Fabrizio Viola e Massimo Tononi), nell’analizzare le ragioni del fallimento dell’operazione, hanno colto l’occasione per togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
LE RAGIONI DEL FLOP
Cominciamo a vedere le ragioni del flop. Secondo l’ad Morelli, intervistato da Alessandro Graziani e Luca Davi del Sole 24 ore, c’è stata “una concomitanza di eventi non favorevoli”. Il riferimento sembra essere in particolare all’esito del referendum costituzionale. “L’incertezza istituzionale creatasi all’inizio del mese e durata fino alla formazione del nuovo governo – sostiene Morelli – non ha sicuramente aiutato. Lanciare la raccolta di ordini relativi all’aumento di capitale i quattro giorno prima di Natale neanche”. Il presidente Falciai, intervistato da Daniele Manca per il Corriere della Sera, prosegue su questa linea: “E’ innegabile che gli investitori internazionali, scottati dall’esito del referendum sulla Brexit, dalla poco prevedibile vittoria di Trump in America, ponessero il tema di capire come poteva evolvere la situazione post referendum”.
QUALCHE STILETTATA AI CONSULENTI
E poi, in entrambe le interviste, arrivano le stilettate, indirizzate ai due principali consulenti dell’operazione di mercato, Jp Morgan e Mediobanca. Che, giova ricordarlo, annusata l’aria appena dopo l’esito del referendum, hanno deciso di non garantire più l’aumento di capitale (potevano farlo, per carità, perché avevano firmato solo un pre-accordo di garanzia, ma senza dubbio il loro passo indietro non ha incoraggiato le adesioni all’aumento di capitale). “Registro con una certa delusione – afferma Falciai – che i due anchor investor (quelli che fino a non molti anni fa si sarebbero chiamati i “cavalieri bianchi”) che stavano colloquiando con Jp Morgan e che sembravano pronti a entrare, i fondi del Qatar e Soros, alla fine si sono defilati”.
COLPA LORO
Falciai sottolinea dunque che questi fondi, che appunto si sono defilati, stavano colloquiando con Jp Morgan e non direttamente con la banca. Sviluppa il concetto l’ad Morelli: “Il Qatar ha avuto, dopo la fase iniziale di due diligence, rapporti con le banche advisor. Immagino che poi abbiano fatto delle valutazioni di insieme, decidendo di non andare avanti”. La colpa della fuga dei grandi investitori, quindi, si evince dalle parole dette e non dette di Falciai e Morelli, sarebbe principalmente dei consulenti. A mettere l’astio nero su bianco è Andrea Greco su Repubblica, che riporta un virgolettato di qualcuno interno alla banca, verosimilmente ai vertici, probabilmente addirittura l’ad Morelli: “Certo un colosso che fa 40 miliardi di dollari di utili e in sei mesi non ci trova un investitore da 500 milioni stupisce. Per un po’ Jp Morgan e Mediobanca (cui Morelli aveva rinegoziato le commissioni al ribasso e solo in caso di successo, ndr) con Mps non lavoreranno”.