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Cosa succederà all’economia italiana in caso di vittoria del Sì o del No al referendum

Robert J. Samuelson, noto giornalista economico del Washington Post, dedica il suo fondo settimanale alla situazione italiana, con particolare declinazione sul referendum di domenica. Ripercorrendo un archetipo paragona la possibile vittoria del “No” al risultato del referendum sulla Brexit e al successo elettorale di Donald Trump: “L’Italia potrebbe essere la prossima tappa del viaggio mondiale verso un maggiore nazionalismo economico”. Samuelson sostiene che se invece la riforma costituzionale dovesse ottenere la maggioranza allora si “renderebbe più facile per il Parlamento italiano passare le misure destinate a migliorare la poco brillante economia”, e riprende i dati dell’Ocse: il Pil che “zoppica” a meno dell’1 per cento annuo, il rapporto col deficit al 132 per cento, la disoccupazione all’11,5 (in realtà stando ai nuovi dati mensili Istat ad ottobre si è attestata intorno all’11,6, e in discesa; sempre l’Istat ha comunicato oggi che è aumentato però il numero degli occupati su base annua di 174mila persone e il seppur debole rialzo tendenziale del terzo trimestre 2016 è il più alto segnato dal 2011, ma è una consolazione magra).

Per l’economista del WaPo uno dei problemi che ha “paralizzato” l’economia italiana– il virgolettato è una citazione da uno studio di Jacob Funk Kierkegaard del think tank americano Peterson Institute for International Economics – è il bicameralismo perfetto, con la Camera e il Senato che devono passare leggi identiche, che finiscono ostaggio di “coalizioni ingombranti” all’interno delle quali non c’è modo di mettere “limiti efficaci ai piccoli partiti” e con politici che spesso cambiano schieramento. “È presumibile che se il referendum passa il presidente del Consiglio Matteo Renzi proporrà policy che riguardano il mercato del lavoro, le tasse e la spesa pubblica”, scrive l’economista americano.

E se non va? L’esito negativo viene esposto dal fondo usando le parole di un altro economista, Desmond Lachman, già alto funzionario del Fondo monetario internazionale, scritte in un contributo su The Hill: “L’Italia potrebbe essere davanti a un periodo prolungato di incertezza politica ed economica. Tale risultato potrebbe mettere in discussione l’appartenenza del paese alla zona Euro e questo potrebbe sollevare questioni fondamentali per quanto riguarda le possibilità della zona euro di sopravvivenza nella sua forma attuale”.

L’analista del WaPo dunque si schiera implicitamente a favore del “Sì”, ritenendolo un’occasione di ripresa per l’Italia, ma critica anche il modo in cui Renzi ha gestito la campagna referendaria: il punto è la polarizzazione per Samuelson, che definisce “arrogante” l’annuncio di dimettersi da premier se dovesse vincere il “No”, aspetto che tra l’altro “ha unito molti elettori che non amano Renzi”. Una linea simile a quella sostenuta due giorni fa dall’ex presidente Romano Prodi, che ha annunciato il voto a favore del Sì – scombussolando alcuni equilibri tra gli oppositori interni al Pd, sostengono gli osservatori di politica interna, in quanto Prodi è un rispettato e molto ascoltato padre fondatore del partito (già con l’Ulivo). Anche Prodi ha criticato la gestione politica del referendum da parte del governo.

Sono stati molti i giornali che hanno pubblicato posizioni dirette (è il caso per esempio dell’Economist, che ha annunciato di essere a favore del “No” con un fondo non firmato, che dunque rappresenta la linea editoriale) o analisi di importanti esperti sul referendum italiano, in quanto l’esito del voto di domenica è considerato un grande appuntamento che potrebbe cambiare diverse dinamiche non solo in Italia. Per esempio, ieri anche la Bloomberg ha pubblicato un approfondimento su cosa potrebbe succedere all’Euro e all’Europa se vincesse il no e “perdesse Renzi”.


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