Il referendum sui voucher è un atto di imbecillità conclamata, perché si rivolge a un istituto giuridico che ha funzionato. Per verificare l’utilizzo corretto dei voucher il criterio fondamentale dovrebbe essere quello previsto dalla legge. Se i lavoratori che sono retribuiti con questa forma di pagamento stanno, per quanto percepiscono, all’interno del perimetro fissato dalle norme, la conclusione non può che essere la seguente: il voucher ha contribuito a diffondere il lavoro, facendo emergere – grazie alla semplicità del suo impiego – prestazioni che in precedenza erano retribuite in nero.
A conferma di questa analisi ci sembra sufficiente citare un brano da un recente Rapporto (Work Inps Paper n.3, 2016) dedicato a questa materia: “Nel 2015 i lavoratori hanno riscosso in media 63,8 voucher ciascuno, vale a dire 478 euro netti nell’arco di dodici mesi; il valore della mediana è decisamente inferiore e pari a 29 voucher riscossi, pertanto per metà dei prestatori di lavoro accessorio l’importo percepito in un anno è uguale o inferiore a 217 euro netti. Anche il valore della mediana ha subito modifiche di modesta entità con il trascorrere degli anni: ciò è ulteriore conferma di una diffusione spontanea che ha preferito allargare la base di riferimento anziché aumentare l’utilizzo, rimasto molto marginale nonostante l’allentamento dei tetti previsti dalle norme. Infatti, solamente il 2,2% dei prestatori (circa 30mila) ha riscosso nel 2015 più di 300 voucher, con un guadagno netto nei dodici mesi superiore a 2.250 euro”.
In buona sostanza, pur senza giurare sull’assoluta trasparenza del ricorso al lavoro accessorio (la sua diffusione corrisponde comunque al calo delle collaborazioni, a prova di quanto si diceva all’inizio), ci pare di poter smentire che esso possa essere sostitutivo di lavoro stabile a tempo indeterminato. Il gruppo più numeroso di prestatori di lavoro accessorio, infatti, è rappresentato da occupati presso altre imprese (29%) ma la maggioranza è rappresentata da precari. Nel dettaglio: 23% disoccupati (età media elevata), 18% che percepiscono ammortizzatori sociali, 14% inoccupati, 8% pensionati e altrettanti che svolgono altro lavoro autonomo, parasubordinato ed operai agricoli.
Insomma, come si legge nel rapporto: “Al netto dei pensionati, nella stragrande maggioranza non è tanto un popolo “precipitato” nel girone infernale dei voucher dall’Olimpo dei contratti stabili e a tempo pieno (Olimpo a cui spesso non è mai salito) ma un popolo che, quando è presente sul mercato del lavoro, si muove tra diversi contratti a termine o cerca di integrare i rapporti di lavoro a part-time”. Qual è allora il problema? Non sono queste le finalità delle norme istitutive? Se si abolissero i voucher questi lavori scomparirebbero o rientrerebbero nel sommerso.
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Ma questo Raffaele Marra è già stato processato? Ha avuto una sentenza di condanna passata in giudicato? O è sufficiente che sia uno stretto collaboratore di Virginia Raggi per metterlo in galera e gettare la chiave?
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Prima Roma, poi Milano. Sono scese in campo le Procure? Ciascuna dalla sua parte?
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Sono dell’opinione che il quesito referendario sul licenziamento individuale sia inammissibile. Ed avrebbe delle conseguenze criminali: abbassare il limite, per la reintegra, da 15 a 5 dipendenti metterebbe in difficoltà pure le piccole imprese, come non era mai avvenuto fino ad ora. Al di sotto dei 5 dipendenti poi la scelta tra reintegra e risarcimento toccherebbe al giudice. E quindi neanche le micro-aziende sarebbero al riparo.
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Matteo Renzi estrae dal cilindro una legge elettorale d’altri tempi: il Mattarellum. Ma non poteva pensarci prima?