Dopo la pubblicazione della sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità di alcune norme della legge delega sulla riforma della pubblica amministrazione, le dichiarazioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro Marianna Madia hanno indotto i cittadini a pensare di vivere all’interno di un sistema costituzionale davvero schizofrenico.
Il capo del governo, il ministro per la Pubblica amministrazione e non pochi osservatori hanno ritenuto che il dissenso di una sola regione (in questo caso il Veneto) abbia permesso di paralizzare la volontà delle due Camere di adottare provvedimenti di riforma di respiro nazionale e che la Corte costituzionale abbia avallato espressamente questa impostazione.
Posta in questi termini, dunque, la decisione della Consulta risulterebbe davvero foriera di conseguenze inaccettabili per il semplice fatto d’imporre un procedimento legislativo nel corso del quale le trattative fra Stato e regioni potrebbe condurre, in definitiva, al rischio di una paralisi perenne.
E’ vero che le procedure previste dalle disposizioni che disciplinano l’attività della Conferenza Stato-Regioni e delle Conferenza unificata non sono così snelle da poter assicurare decisioni rapide e veloci ed è altrettanto corretto affermare che la Corte costituzionale ha, in più occasioni, ritenuto preferibile tentare d’addivenire ad un intesa fra Stato e Regioni per la definizione dei contenuti di provvedimenti legislativi che intersecano gli interessi tanto dell’uno quanto delle altre, anche a costo di reiterare più volte le trattative fra le parti in causa.
Per chi, come il nostro presidente del Consiglio, si è fatto promotore di un’idea di governo forte, capace di assumere decisioni in tempi rapidi, (senza l’intralcio di impedimenti burocratici o di veti incrociati), anche il semplice passaggio imposto dalla Consulta, dalla richiesta di parere alla Conferenza Stato-Regione all’intesa con tutti i governatori regionali italiani, può rappresentare un limite inaccettabile della nostra forma di governo.
Ciò che, tuttavia, non è stato adeguatamente posto il luce è che, al netto del tempo necessario per tentare di addivenire ad un’intesa per l’approvazione della riforma della Pubblica amministrazione (o di qualsivoglia altro provvedimento legislativo che coinvolga interessi regionali), la Corte costituzionale ha sempre fatto salvo il potere dello Stato di superare l’eventuale dissenso espresso dentro la Conferenza da una o più regioni.
Anche la sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità della cosiddetta riforma Madia, infatti, ha preso le mosse dalla ricostruzione dell’istituto della leale collaborazione per ricordare che: “La reiterazione delle trattative, al fine di raggiungere un esito consensuale non comporta in alcun modo che lo Stato abdichi al suo ruolo di decisore, nell’ipotesi in cui le strategie concertative abbiano esito negativo e non conducano a un accordo”.
Se il tentativo di raggiungere l’intesa (dopo che sono state espletate più volte le trattative) fallisce, in sostanza, spetterà allo Stato procedere ugualmente all’adozione del provvedimento preannunciato all’interno della Conferenza Stato – Regioni per superare i dissensi in quella sede espressi.
Si deve, tuttavia, dare conto del fatto che, sebbene l’insegnamento della Corte costituzionale in materia di rapporti Stato-Regioni era stato già espresso negli stessi termini all’inizio di quest’anno con la sentenza n1/2016, il principio di leale collaborazione non era mai stato applicato (come afferma onestamente la stessa Corte costituzionale) al procedimento legislativo ma solo all’esercizio delle funzioni amministrative, cosicché del tutto comprensibile appare oggi il sentimento di sorpresa che ha investito alcuni esponenti della maggioranza di Governo di fronte al mutamento d’indirizzo dei Giudici delle leggi e fuori luogo, di conseguenza, risultano le aspre critiche rivolte ad un Parlamento che non sarebbe in grado di legiferare correttamente.
Peraltro, anche il Consiglio di Stato in una recentissima sentenza (30 novembre 2016) ha riconosciuto che la Corte costituzionale in materia di leale collaborazione fra Stato e Regione ha innovato il precedente indirizzo giurisprudenziale proprio con la sentenza sulla riforma Madia.
Questo revirement giurisprudenziale (con riguardo all’esercizio della funzione legislativa statale) ha indotto presumibilmente molti, in buona fede, a ritenere che la Corte costituzionale abbia attribuito ad ogni singola regione un potere d’interdizione definitivo sulle proposte legislative di Governo e Parlamento, alterando così l’originaria lettura del principio di leale collaborazione che invece prevede solo l’obbligo di intavolare trattative serie e reiterate.
Il testo della sentenza sulla riforma Madia però non lascia spazio a questa interpretazione ed ancor meno ne lascia il buon senso, al quale ripugna un sistema costituzionale improntato all’unanimismo all’interno del quale una o più regioni possano paralizzare senza limite di tempo qualsivoglia progetto di riforma nazionale. E al palazzo della Consulta vogliamo credere che di buon senso ne esista ancora.