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Cosa cela l’incontro di Trump con i vertici di Amazon, Apple, Cisco, Google, Intel e Oracle

Riunione di altro profilo alla Trump Tower mercoledì 14 dicembre, dove il presidente eletto Donald Trump vede i più importanti leader della Silicon Valley. Presenti Tim Cook di Apple, Jeff Bezos di Amazon, la Coo di Facebook Sheryl Sandberg, Safra Catz di Oracle, Chuck Robbins di Cisco, Ginni Rometty di IBM (la quale aveva anche scritto una lettera a Trump appena una settimana dopo la vittoria elettorale), il Ceo di Intel Brian Krzanich, Larry Page e Eric Schmidt di Alphabet (Google), il fondatore di Tesla Elon Musk, e l’amministratore di Microsoft Satya Nadella.

Molti di questi hanno sostenuto apertamente l’avversaria di Trump durante le presidenziali, Hillary Clinton, e prima della fase finale si erano già esposti a favore di altri candidati. Ufficialmente il transition team che guida l’amministrazione temporanea trumpiana non ha diffuso note sull’agenda dell’incontro, ma si tratta di uno degli appuntamenti più importanti e succosi a cui il presidente eletto s’è sottoposto finora. Il facilitatore del meeting è stato il cofondatore di PayPal Peter Thiel, uno dei pochi del settore ad aver appoggiato Trump, che ha lavorato di sponda con il futuro capo dello staff Rience Priebus e con Jared Kushner, marito di Ivanka Trump e onnipresente genero-in-chief con un non ben precisato ruolo nello staff di transizione e nella futura amministrazione.

Trump durante le fasi elettorali aveva chiesto a queste imprese di aumentare le produzioni negli Stati Uniti. I prodotti della Silicon Valley vengono in massa dall’estero, un esempio su tutti, se si gira un iPhone si legge “Designed by Apple in California. Assembled in China”. La questione sta a cavallo tra la lotta che fa Trump agli accordi commerciali internazionali, che secondo lui penalizzano le ditte americane e vanno completamente rivisti, e il rilancio dell’occupazione spesso citato in campagna — “America First” e “Make America Great Again” sono i due motti di riferimento sui rispettivi temi.

Spiega Quartz che per rendere più appetibili le richieste di riportare in America le linee produttive, Trump sul piatto può mettere i promessi tagli fiscali alle imprese. Moody’s stima che la metà degli 1,7 trilioni di dollari di introiti tenuti all’estero dalle società (non finanziarie) americane sia legato alle ditte produttrici di tecnologie, con Apple, Microsoft, Alphabet, Cisco e Oracle che sono le prime cinque per quantità, tenendo sedi fiscali in altri paesi dove le tasse sono più convenienti. Trump vorrebbe abbassare le richieste fiscali per poter, anche, far rientrare certi capitali.

Secondo il Wall Street Journal sul tavolo delle discussioni ci sarà anche il cosiddetto “border adjustment”, un piano legislativo per alzare i costi delle importazioni, abbassando la gran parte delle imposte sulle esportazioni. È una lettura nazionalista dell’economia, che va a discapito di quelle ditte come Apple ad esempio, che produco in Cina, ma è in piena linea “America First”.

La Reuters scrive anche che uno dei principali argomenti di frizione saranno i temi per così dire etici (ma con enormi risvolti pratici): la sorveglianza del governo, la crittografia, e poi la questione immigrazione. Diversi dipendenti del settore hanno già dimostrato la propria contrarietà alle schedature sugli immigrati (e sui musulmani) che Trump ha promesso in campagna elettorale come punto di partenza per le espulsioni. E sui temi di sorveglianza e crittografia la linea Trump coccia con le posizioni di difesa della segretezza, a tutela dei consumatori, seguite dalle principali aziende tecnologiche. Quando Apple negò l’accesso ai dati dell’iPhone dell’attentatore di San Bernardino, Trump chiese ai suoi sostenitori di boicottare i prodotti Mac per ritorsione.


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