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Come slalomeggia Sala a Milano tra sindacati, Renzi e immigrati

GIUSEPPE SALA

Le dimissioni di Matteo Renzi da primo ministro dopo la sconfitta referendaria potevano creare grosse difficoltà al sindaco di Milano, Beppe Sala, che da Renzi era stato imposto al PD milanese come candidato a Palazzo Marino. Sala, sorprendendo un po’ tutti, ha deciso di giocare d’anticipo e ha assunto posizioni non scontate su questioni politiche sensibili come i tempi di scioglimento del Parlamento e la data delle nuove elezioni, la proposta di riapertura dei centri di identificazione e di espulsione per governare la nuova emergenza immigrazione, la disponibilità ad aprire una riflessione sulla figura di Bettino Craxi e sulla dedica di una via a Milano intitolata alla memoria del leader socialista che, come da copione, ha subito sollevato la contrarietà di Filippo Barberis, capogruppo PD in consiglio comunale.

Ma anche su questioni che riguardano il governo della città c’è stato un certo dinamismo “decisionista”. In primo luogo nel rapporto col sindacato. Il sindaco si è dichiarato molto disponibile al confronto ma risoluto ad attuare i progetti di modernizzazione degli uffici. Per questo ha ritenuto di dover assumere figure professionali (con un’età media notevolmente inferiore a quella degli attuali dipendenti comunali), da destinare alla digitalizzazione dei servizi amministrativi. Saranno assunte 300 persone, il 75% di quanti sono andati in pensione, ma il Sindaco ritiene che sarebbe difficile “ricuperare” attraverso i concorsi tutto il personale con contratti a termine. L’origine dei dissapori coi sindacati, che non hanno gradito molto neanche l’arrivo di dirigenti comunali esterni, nasce da un allargamento dello staff del sindaco, considerato eccessivo, che avrebbe ridotto lo spazio per nuove assunzioni e dal timore che si vada surrettiziamente a realizzare un programma di esternalizzazioni. Lo sciopero rimane un’opzione aperta ma Sala, più che esserne preoccupato, dichiara di essere prima di tutto interessato a capire le ragioni dei disagi dei dipendenti comunali. Chi vivrà vedrà.

Il sindaco è stato particolarmente attivo anche sul fronte delle localizzazioni di nuove attività. Dopo aver incassato “en souplesse” il trasferimento del salone del libro da Torino si appresta a ricevere il trasferimento di Sky (e in parte di Mediaset) da Roma a Milano e ha colto l’occasione per chiedere anche alla Rai di delocalizzare qualcosa a Milano, suscitando in questo caso la reazione del governatore PD del Lazio, Nicola Zingaretti. Unanime è stato poi il consenso per “fare squadra” con l’intento di portare a Milano l’Agenzia Europea del Farmaco e di fare Milano “la capitale del cibo” o, più ambiziosamente, di trasferire la City all’ombra del Duomo. Sala è andato più in là chiedendo al Governo di interrogarsi sul perché tante imprese italiane cadono in mano “straniera”.

Gli impegni più faticosi, che renderebbero la città più accogliente a appetibile per gli investimenti, rimangono quelli del riassetto urbanistico (a partire dal futuro degli ex scali ferroviari e del progetto Arexpo) che si accompagnano al rafforzamento del sistema pubblico dei trasporti con l’estensione della rete metropolitana. La rivitalizzazione delle periferie dovrà fare i conti con una nuova politica dell’edilizia popolare che parte dal riordino dei conti degli enti e dal risanamento del patrimonio immobiliare, senza dimenticare una azione realmente efficace contro le occupazioni illegali di case pubbliche che continuano senza sosta. Così come rimane problematica la gestione dell’emergenza immigrati per i quali è realistico utilizzare per periodi limitati la formula dei lavori socialmente utili, limitatamente a coloro che hanno i requisiti per essere riconosciuti come profughi. Ma su tutto questo pesa l’incognita del mantenimento del “Patto per Milano” sottoscritto con il precedente Governo.

Da fiore all’occhiello di Renzi , Sala viene descritto ora come un opportunista che scende dal carro dello sconfitto, ma potrebbe essere più semplicemente un pragmatico che sceglie di volta in volta nel merito delle questioni. Allo stato attuale nulla autorizza a pensare che siamo di fronte ad un divorzio da Renzi, il quale, peraltro, è costretto quantomeno ad un riposizionamento tattico. Per il sindaco il modo migliore per ricuperare la sconfitta referendaria (a Milano ha vinto il Sì) è quello di rafforzarsi assumendo una più forte identità politica. Intanto gli alleati di Giunta (e una buona parte del PD) “studiano” le mosse del sindaco e le minoranze del consiglio comunale vanno in ordine sparso in attesa degli eventi nazionali che metteranno a dura prova la compattezza del centro-destra.

Se vale la lezione di Deng Tsiao Ping secondo il quale “non è importante il colore dei gatti, basta che prendano i topi” la situazione può essere foriera di novità interessanti, a partire dall’allargamento della maggioranza in consiglio comunale su progetti politici condivisi.

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