Alla vigilia dell’udienza della Corte Costituzionale sulla legge elettorale della Camera, già fissata per il 4 ottobre scorso ma rinviata al 24 gennaio per non interferire –si disse – nella campagna referendaria sulla riforma costituzionale, la politica sta giocando una curiosa partita con i giudici del Palazzo della Consulta.
I contrari alle elezioni anticipate – dal presidente del Senato Pietro Grasso in giù – chiedono o si attendono dalla Corte che la legge elettorale nota come Italicum venga sì tagliata, con la bocciatura di qualche punto, ma in modo tale da rendere obbligatorio poi un intervento del Parlamento per completare l’operazione, rendere “omogeneo” o “armonico” il tutto, come ha raccomandato più volte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e poter quindi mandare con comodo gli italiani alle urne. Magari alla scadenza ordinaria della legislatura, fra un anno, o solo con qualche mese di anticipo: giusto il tempo – dicono i soliti maliziosi – per far maturare in autunno il vitalizio ai trecento parlamentari e più di prima nomina, uscenti e timorosi di perdere anche i contributi previdenziali versati dall’inizio di questa legislatura.
Fra questi trecento parlamentari in ansia, diciamo così, ci sono tutti i grillini, o ex grillini, anche se Beppe Grillo non vuole sentirselo dire e reclama sempre più forte, per allontanare i sospetti, il voto il più presto possibile. Con qualsiasi legge, aggiunge il concorrente Matteo Salvini, che peraltro non disdegnerebbe ormai un’alleanza post-elettorale col comico di Genova, piuttosto che col vecchi Silvio Berlusconi. Al quale il conduttore del Carroccio rimprovera non solo di non volergli mollare con le primarie il volante di quello che fu il centrodestra italiano, ma anche di essersi messo a rimorchio della ex nemica irridente Anghela Merkel, che gli ha appena “regalato” l’elezione alla presidenza del Parlamento europeo di Antonio Tajani, uno dei fondatori di Forza Italia. Cui ovviamente i leghisti non hanno concesso il loro voto, al pari dei grillini, reduci dalla figuraccia di avere inutilmente tentato di cambiare casa a Strasburgo, intrufolandosi addirittura fra i liberaldemocratici, cioè fra gli europeisti più convinti. I quali alla fine hanno loro sbattuto la porta in faccia restituendoli agli antieuropeisti di Nigel Farage.
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I leghiti, che le elezioni al più presto le vogliono più sicuramente e coerentemente dei grillini, ma ancora di più, dietro le quinte, i renziani di più stretta osservanza nel Pd, sempre più sospettosi che il conte Paolo Gentiloni Silverj si faccia venire la voglia di durare più del dovuto, pronto anche ad usare a questo proposito un pacchetto di nomine a sua disposizione in queste settimane, si aspettano invece altro dai giudici della Corte Costituzionale. Vogliono un verdetto sull’Italicum negativo sì sugli aspetti anche più qualificanti, come il ballottaggio, ma tale da non rendere la legge, diciamo così, inagibile. Si aspettano cioè che l’Italicum esca dalla sartoria della Consulta pronta per l’uso. Ciò darebbe quanto meno a Renzi e agli altri che vogliono votare al più presto maggiore forza contrattuale nelle commissioni e aule parlamentari per chiudere la partita al più presto nel tentativo, che sicuramente seguirà alla sentenza della Corte Costituzionale, di armonizzare –sempre secondo il vocabolario di Mattarella – le norme per l’elezione sia della Camera sia del Senato, visto che ques’ultimo è riuscito a sopravvivere intatto al referendum del 4 dicembre.
Chi riuscirà a farsi sentire di più dai tredici giudici in carica nel Palazzo della Consulta, condizionandone le opinioni o più semplicemente accontentandosene, è difficile dire nel momento in cui scrivo.
Certo è che i cultori del cosiddetto primato della politica, quelli cioè convinti che una legge elettorale debba essere scritta interamente dal Parlamento e non da una pur straordinaria magistratura qual è quella della Consulta, avrebbero dovuto svegliarsi e mobilitarsi prima, e non ridursi all’ultimo momento.
In particolare, disponendo allora anche di Palazzo Chigi, essi dovevano farsi sentire dalla Corte Costituzionale già nell’autunno scorso, per esempio, scongiurandola di non rinviare l’udienza già fissata per il giorno di San Francesco perché – tanto – il referendum sulla riforma costituzionale toccava solo indirettamente, con le polemiche sul dopo, la materia della legge elettorale. Nessun articolo di quella riforma investiva le norme per la scelta dei deputati arrivate all’esame della Corte attraverso i ricorsi alla magistratura ordinaria.
Una volta rinviato il verdetto a dopo il referendum, i cultori del primato della politica, che in teoria hanno tutte le ragioni di questo mondo, avrebbero dovuto quanto meno auspicare pubblicamente che la Corte rinviasse ancora l’esame della legge, visto che il Parlamento, per decisione quanto meno della maggioranza di governo, aveva deciso formalmente di rioccuparsi della questione.
I giudici della Consulta, a quel punto, avrebbero ben difficilmente potuto resistere alla rivendicazione esplicita della politica, cioè del legislatore, di decidere come rinnovare le Camere alla loro scadenza, o anche prima. Invece, niente. I soliti furbi, bravi a parlare in un modo e ad agire in un altro, si sono ben guardati dall’esprimersi affidandosi non alla sorte ma ai soliti calcoli di convenienza. I furbi, ripeto, hanno detto in pratica: aspettiamo il verdetto della Corte e cerchiamo di usarlo come meglio ci conviene.
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Purtroppo questi furbi –ripeto- non hanno tenuto conto dell’abitudine ormai consolidata della Corte Costituzionale in materia elettorale di fare interventi, diciamo così, pronti allo smercio. Avvenne così tre anni fa con la sentenza sul cosiddetto Porcellum, quello delle liste scandalosamente bloccate, tagliata dai giudici in modo che potesse essere anche immediatamente applicabile. Tanto che da Porcellum quella legge si chiama adesso Consultellum, da Consulta. La paternità è passata insomma dal maiale evocato dall’ex ministro leghista Roberto Calderoli, autore peraltro di quella legge, ai più nobili e titolati giudici costituzionali.
Lo stesso a questo punto dovrebbe o potrebbe avvenire per l’Italicum, se i giudici confermeranno il loro orientamento a non lasciare vuoti legislativi in una materia così istituzionalmente delicata come quella elettorale, dovendosi sempre assicurare, almeno in teoria, la possibilità di rinnovare le Camere.
Potremmo quindi avere un Consultellum numero 1 per il Senato, già in piedi da tre anni, e un Consultellum numero 2 per la Camera, con buona pace dei cultori finti o ingenui –come preferite- del primato della politica.