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Cosa hanno trovato Berlusconi, Bersani, Grillo, Renzi e Salvini nella calza della Befana

Matteo Salvini

La calza della Befana di Beppe Grillo è stata naturalmente riempita di carbone per tutto il veleno che il capo delle 5 stelle ha voluto iniettare nella già intossicata politica italiana anche durante le feste che si stanno concludendo. E anche per il veleno che il comico non mancherà di usare nella stagione di Carnevale che sta per cominciare, a lui ancora più congeniale.

Tra false svolte garantiste, insulti agli avversari e processi sommari all’informazione non prona alle sue sparate, Grillo è ormai diventato un costante de stabilizzatore del dibattito politico. Rispetto alla sua impallidisce la destabilizzazione procurata dalla minoranza del Pd e, sul versante opposto, da Silvio Berlusconi. Che ormai lo ritrovi la mattina sui giornali nell’angolo opposto dove lo hai lasciato la sera prima.

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Carbone quindi anche nella calza della Befana del presidente di Forza Italia. Che avevamo tutti lasciato in rotta di collisione col povero Stefano Parisi, scaricato dopo una polemica che il mancato sindaco di Milano aveva avuto col segretario leghista Matteo Salvini per difendere proprio Berlusconi da un attacco rivoltogli dal suo ormai incontenibile concorrente alla leadership di quello che fu il centrodestra.

In questo 2017 appena cominciato l’ex presidente del Consiglio si è finalmente accorto che Parisi non aveva tutti i torti ed ha ripreso a cercarlo, secondo indiscrezioni giornalistiche non smentite. Ma c’è, a quanto pare, un inconveniente: ad Arcore non sanno esattamente che cosa fargli fare, quale altra misteriosa missione affidargli senza mettere troppo in agitazione i colonnelli, capitani, tenenti, marescialli, sergenti e caporali che difendono ostinatamente lo spazio o spazietto che ritengono di avere acquisito all’ombra del loro unico, insostituibile, infallibile capo.

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Ci sono, in verità, altre due novità in Forza Italia. Una è il ritorno nel cerchio più o meno magico dell’ex cavaliere della labbrosa – così chiamata dai colleghi di partito per le sue grandi labbra, in un misto di ammirazione e desiderio – Maria Rosaria Rossi. Alla quale ha fatto bene il breve defilamento come tesoriera procuratole dal capogruppo forzista del Senato Paolo Romani dopo la caduta in disgrazia politica nel giro familiare stretto del presidente del partito, nella scorsa estate. Così la senatrice ha trovato cioccolatini nella calza della Befana.

Carbone invece è stato trovato dal governatore ligure Giovanni Toti, ormai ex consigliere politico di Berlusconi. Che sembra ripetere inconsapevolmente quello che Amintore Fanfani mi disse una volta del mio amico e suo ormai ex delfino Arnaldo Forlani, da me definito il più moroteo dei fanfaniani o il più fanfaniano dei morotei: “Ma io se volessi mettermi d’accordo con Moro, lo farei direttamente, senza bisogno di intermediari”. E in effetti lo fece, nel 1973, alla vigilia di un congresso della Dc, liquidando la prima segreteria Forlani, cominciata nel 1969.

Toti ormai sembra diventato a Berlusconi più leghista che forzista. E speriamo che, con questo precedente di Fanfani che ho appena ricordato, l’ex direttore del Tg 4 non si senta un nuovo Forlani.

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La calza della Befana di Salvini è stata riempita di notte all’ultimo momento di cioccolatini, caramelle e mandarini da Vittorio Feltri. Che su Libero ne ha tessuto elogi sperticati perché “conti alla mano”, col 14 per cento dei voti presi da solo, “è stato più bravo di Bossi, che si fece fagocitare da Berlusconi senza ricavare un solo beneficio politico”. Pertanto il Matteo padano andrebbe incoraggiato a “continuare la battaglia in solitudine contro l’immigrazione selvaggia e lo strapotere dei padrini della rovinosa moneta unica”. “Esattamente come ha fatto madame Le Pen per lustri e lustri senza mai demordere”, ha continuato Feltri sorprendendo, credo, il suo ex delfino Maurizio Belpietro, inventatosi un giornale nuovo di zecca – addirittura La Verità, traduzione italiana della sovietica Pravda – per contrastare un Feltri affetto, secondo lui, da renzismo.

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Nella calza della Befana l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha trovato invece due smacchiatori, avendo esauriti quelli usati prima contro Berlusconi, nel 2013, e poi contro Matteo Renzi, nel referendum costituzionale del mese scorso.

Non vi dico il contenuto della calza destinata a Renzi. I figli e la moglie, per non avvilirlo più di quanto non avessero fatto il 4 dicembre gli elettori con le loro 19 milioni di scope, gliel’hanno nascosta. Tanto, preso com’è a consultare il calendario per scegliere la data delle elezioni anticipate, convinto di riuscire prima o poi a convincere Sergio Mattarella, l’ex presidente del Consiglio non se n’è accorto neppure.

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Carbonella nella calza che la Befana ha lasciato al consigliere superiore della magistratura Pier Giorgio Morosini, che si è sentito frainteso per un’intervista al Giornale di Sicilia, la sua Sicilia. Nella quale sembrava convinto, in dissenso finalmente dai suoi colleghi di corrente di Magistratura democratica, che ci fosse un circuito mediatico-giudiziario colpevole di usare a fini di lotta politica gli avvisi di garanzia, e relative indagini.

Il giudice ed ex pm Morosini ritiene invece che di questo uso distorto siano colpevoli solo giornalisti e politici, non i magistrati. Ai quali però chiede “un supplemento di attenzione sulla segretezza degli atti”. Ciò significa che se non è zuppa, è pan bagnato, come dice un vecchio adagio popolare. Non sarà doloso, come sostiene in pratica il consigliere superiore, ma almeno colposo si potrà pur considerare il contributo dei magistrati all’uso degli avvisi di garanzia e relative indagini nella lotta politica. Doloso o colposo, è pur sempre un reato, almeno in questo paese, dove i reati si sprecano.

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Cioccolatini e caramelle nella calza di Alessandro Sallusti per l’editoriale della Befana sul Giornale contro Grillo, che da Malindi grida e strepita contro chiunque in Italia non lo scambi ancora per un Messia, i cui voti nei ballottaggi comunali dell’anno scorso furono forniti anche dagli antirenziani più incalliti di quello che era stato il centrodestra.

Carbone invece per la parte dell’editoriale in cui al direttore del Giornale scappa un mezzo rimpianto di Renzi, visto il vuoto lasciato proprio a Grillo. Ma che si aspettava Sallusti dalla stravittoria del no al referendum costituzionale ? Che davvero il vuoto sarebbe stato colmato dal fratello del suo editore? Ah, beata ingenuità.



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