Uno dei paradossali risultati positivi del terremoto che ha sconvolto l’Italia centrale nel 2016 è stato quello di averci fatto scoprire o riscoprire l’identità appenninica. A un prezzo, chiariamolo subito, troppo caro: in termini di vite umane ma anche di costi materiali.
Che l’Italia sia un paese plurale lo sappiamo tutti, ma questa specificità è troppo spesso identificata soltanto nella contrapposizione Nord-Sud, come se nello Stivale si giocasse una sorta di derby economico, civile e culturale tra Europa e Mediterraneo. Quella longitudinale, invece, non è l’unica differenza che rende il nostro Paese così complesso e ricco allo stesso tempo: tra le altre ci sono, ad esempio, quelle mare-montagna, provincia-metropoli, Tirreno-Adriatico. Né meno significativa è la presenza, lungo tutta la propaggine peninsulare, di una spina dorsale montuosa che rivela insospettate omogeneità fisiche e morali, indipendentemente dal punto geografico in cui ci si trovi: altitudini elevate ma meno aguzze delle vette che contraddistinguono l’arco alpino, inesistenza di grandi città compensata da diffusi centri storici di straordinario rilievo persino nelle frazioni più minuscole, una disponibilità caratteriale che non tracima nella più spiccata immediatezza delle popolazioni metropolitane, una volitiva tendenza al sacrificio, un tessuto imprenditoriale quasi sempre espresso nell’ambito ‘micro’ anche se con qualche lodevole eccezione. Last but not least, l’insufficienza dei collegamenti, che rende traversare le poche centinaia di chilometri tra i due mari più lungo e faticoso che non percorrere distanze maggiori lungo le linee costiere.
In un’estrema e inevitabilmente riduttiva sintesi possiamo dire che gli Appennini e gli appenninici sono – nel senso migliore del termine – medii. In un paesino collinare della Campania, della Calabria, molisano o marchigiano, degli Abruzzi o dell’Emilia resteremo a bocca aperta davanti a una trattoria in cui si mangia ‘come a casa’ a prezzi commoventi oppure a uno struggente uno scorcio collinare nascosto dietro una curva, così come resteremo basiti per la mancanza di distributori di carburante a distanze accettabili o per un esercizio commerciale privo del pos. Quella appenninica è una weltanschauung che potremmo assimilare a un’espressione nota quanto banalizzata o fraintesa: la dolce vita. Al di là del film che l’ha pubblicizzata e che descrive l’onirico mondo felliniano la ‘sweet life’, intesa come ‘italian way of life’ (forse resa meglio da quella sorta di sequel dell’eponimo che è La grande bellezza di Paolo Sorrentino) è un misterioso miscuglio di gioia di vivere e melanconia, una luce serotina che già volge all’imbrunire, la coscienza della propria grandezza unita al presentimento della crisi ineluttabile.
In questo senso l’Italia centrale è davvero il cuore del nostro Paese e le scosse di agosto e di ottobre, come un defibrillatore, l’hanno fatto battere all’unisono con quello di tutti gli italiani. Pochi giorni trascorsi tra i Sibillini e la riviera adriatica – i primi dopo il sisma per chi scrive e che di queste terre è originario, come moltissimi altri italiani – bastano a capire quanto la ferita inferta sia profonda e non tocchi solo epicentri e zone rosse, dove le tendopoli e le strade interrotte la rendono più evidente: i cartelli ‘vendesi’ si rincorrono dalle minute località collinari ormai ridotte a fantasmi fino alle località turistiche del litorale, segnali di una crisi immobiliare che si protrae da anni, eppure ovunque capita di incontrare un’attività commerciale o di ristorazione inedita o ampliata che sembra urlare la tenace voglia di risollevarsi. Difficile dire come andrà, anche perché la prevenzione elevata a demagogia del ‘rischio zero’ rischia di imporre misure di protezione del territorio che lo snaturerebbero, oltre a trasformare in interminabili cantiere edificati che, in qualche caso, avevano concluso da poco le ristrutturazioni conseguenti alle scosse dei decenni scorsi.
Le Marche, in particolare, sono come l’Italia plurali, sin dal nome. Quirino Principe le ha definite efficacemente una ‘piccola Italia’: la costa, il verde-azzurro dei monti, i teatri, le piazze, le chiese, l’eno-gastronomia che arricchiscono e addolciscono il nostro paese qui sono concentrati in modo straordinario, tesori e giacimenti misconosciuti si susseguono a pochissimi chilometri uno dall’altro. La ‘Toscana dei furbi’, per dirla con un’altra citazione presa in prestito, visti i prezzi mediamente molto economici di queste zone. Se poi a vincere saranno non i furbi ma gli intelligenti e se prevarrà una logica di investimento capace, anziché rapace, ce lo dirà il tempo.