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Ecco come Massimo D’Alema vuole rottamare Matteo Renzi

Massimo D'Alema

Imprevedibile come lo sciame sismico, e forse qualcosa ancora di più grave, che scuote l’Italia centrale, pesante come la neve che cade su quelle zone già martoriate dal terremoto e gelido come il ghiaccio di questo inverno inclemente, Massimo D’Alema ha voluto tornare pure lui sulla scena politica – come hanno appena fatto Matteo Renzi, Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani, dopo le feste di fine anno – con la sua brava intervista. Che ha concesso al Corriere della Sera, e più in particolare al ben educato Aldo Cazzullo, intervenuto ogni tanto per cercare di porre un argine in difesa di Matteo Renzi, assente e quindi non in grado di reagire ai colpi che il suo avversario gli sferrava sopra e sotto la cintola. O, peggio ancora, al sarcasmo col quale l’intervistato lo liquidava come un uomo ormai politicamente finito, la cui rimozione dalla segreteria del partito, l’unica cosa rimastagli dopo avere perduto la guida del governo, sarebbe necessaria per dare, o ridare, al Pd qualche possibilità di non perdere anche le elezioni politiche, ordinarie o anticipate che siano, come il referendum del 4 dicembre sulla riforma costituzionale. Su cui però D’Alema non si è proprio battuto insieme con il suo partito, schierato a favore della riforma con tanto di deliberati degli organi competenti, bensì contro.
In verità, orgoglioso di quella scelta ostentata di oppositore, e naturalmente soddisfatto del contributo dato alla sconfitta del suo rottamatore, D’Alema aveva annunciato di considerare conclusa la propria missione, come se si potesse considerarla l’ultima della sua lunga attività di militante e dirigente politico, cominciata praticamente da ragazzo e figlio d’arte, essendo stato anche il padre una personalità autorevole del Pci. Si diceva per scherzo anche di Massimo D’Alema quello che, sempre per scherzo ma non troppo, diceva di Enrico Berlinguer il vecchio e corrosivo Giancarlo Pajetta: “Si iscrisse da giovane alla direzione nazionale del partito”.
In particolare, D’Alema jr, chiamiamolo così a dispetto dei suoi capelli ormai argentati, perché chiamarli grigi potrebbe sembrare riduttivo per uno come lui, aveva detto che dopo il referendum sarebbe tornato alla sua attività ormai prevalentemente culturale, dedito alla Fondazione Italianieuropei e a quella internazionale del socialismo, che gli consente felicemente di tenersi spesso lontano da questo paese così scomodo, difficile e deludente come è stato ridotto da Renzi. Al quale nessuno ha ancora detto forse che l’Italia è quartultima per crescita nell’elenco steso da un’organizzazione – ha scarcasticamente fatto osservare D’Alema – che non ha nulla di trotzkista: il World Economic Forum. Di cui immagino con quale cura, tempestività e competenza egli sfogli i bollettini, probabilmente in lingua originale, senza bisogno di farseli tradurre in italiano da nessuno. E’ d’altronde nota, e apprezzabile, l’ostinazione con la quale lui si mette e studiare le cose quando ne avverte il bisogno.

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Ebbene, tra uno studio e l’altro, tra un volo a Bruxelles o altrove, fra i vari continenti di questa nostra ormai piccola Terra, vista la facilità con la quale ci si può muovere, D’Alema ha trovato il modo di partecipare – salvo ripensamenti – a un incontro promosso a Roma per il 28 gennaio fra i tanti comitati referendari per il no alla riforma costituzionale formatisi con il suo concorso o la sua regìa.
L’obiettivo dichiarato dallo stesso D’Alema è di trasformare il no di questi comitati in un sì. Un sì, però, non ad una nuova e questa volta più seria, semplice ed efficace riforma costituzionale da potere approvare in Parlamento, secondo i suoi precedenti annunci, in quattro e quattr’otto, o quasi, ma bloccata – ha rivelato D’Alema ai soliti disattenti cronisti politici e parlamentari, fra i quali mi riconosco anch’io col capo cosparso di cenere – dai contrasti esistenti nel Pd su come sbloccare i lavori della decisiva commissione Affari Costituzionali del Senato. Che in effetti è rimasta orfana di presidente, dopo la nomina di Anna Finocchiaro a ministra dei rapporti col Parlamento. I vice presidenti evidentemente o mancano o non hanno per regolamento a Palazzo Madama tutti i poteri necessari per supplirvi. Anche di questo mi confesso umilmente sprovveduto.
Il sì che dovrebbe sostituire il no nei comitati referendari che accoreranno a Roma il sabato della prossima settimana è alla ricomposizione del centrosinistra, liquidato dal solito Renzi con l’alleanza di governo, passata in eredità al “garbato” conte Paolo Gentiloni Silverj, con il Nuovo Centro Destra, o come altro si chiama o sta per chiamarsi, dell’ora ministro degli Esteri. Un centrosinistra che non ha nulla a che vedere, naturalmente, col Pd tanto isolato dall’attuale segretario da avere come unico, possibile interlocutore di un dopo-elezioni l’anziano ma pur sempre vitale Silvio Berlusconi. Il quale, per quanti sforzi d’immaginazione e d’azione possa e sappia fare, non potrà mai pretendere di prendere il posto – che so? – di un Nichi Vendola o di un Giuliano Pisapia, l’ex sindaco di Milano adesso impegnato pure lui a ripristinare il centrosinistra.
Fra l’altro, ha ricordato D’Alema a Renzi, Pd e berlusconiani insieme dopo le elezioni non potranno avere i numeri parlamentari necessari per fare maggioranza da soli. Tanto vale, quindi, che se lo tolgano entrambi dalla testa questo irreale progetto.

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Par di capire – salvo smentite a questi capoccioni di cronisti incompetenti – che ai comitati del no ormai superfluo alla riforma costituzionale bocciata e del sì invece attuale alla ripresa del centrosinistra si voglia affidare il compito di partecipare attivamente alla preparazione del congresso del Pd. E al relativo impacchettamento della segreteria Renzi, anche nella versione riorganizzata che è in preparazione, per rispedirla a Firenze, o in qualche altra parte del globo. Per sostituire Renzi di preciso con chi, D’Alema non ancora lo ha detto. Forse perché semplicemente non ancora riesce neppure lui ad immaginare, tanto è grande la confusione nel Pd, e tante sono le candidature palesi e soprattutto occulte.
Certo è che il nostro, cioè D’Alema, vorrà essere della partita, non starsene alla finestra di qualche fondazione italiana o estera. Vorrà garantirsi una carrozzeria dove cercare di fare rimettere a posto da un nuovo segretario la sua auto incautamente rottamata dal Matteo toscano.


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