Sono ritornati in auge i metalmeccanici. Chissà se avranno la stessa fortuna dei loro padri, i protagonisti dell’autunno caldo del 1969. A riprova di come quella epopea avesse lasciato il segno, andando abbondantemente oltre l’ambito degli addetti ai lavori per coinvolgere l’intera opinione pubblica, persino il cinema ne faceva dei protagonisti mediatici. Era un metalmeccanico che aveva scoperto una coscienza di classe, alle prese con l’organizzazione tayloristica del lavoro, il personaggio interpretato da Gian Maria Volontè ne “La classe operaia va in Paradiso”. Era ancora un metalmeccanico, per giunta meridionale e immigrato, l’operaio interpretato da Giancarlo Giannini, in “Mimì metallurgico”, la versione intelligentemente comica di un’intera stagione sindacale, divenuta un’icona.
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Verso la fine del suo mandato il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, divenne – se si può dire – piuttosto effervescente e si mise a sollecitare con lettere ed esternazioni , contenenti precise proposte, significative riforme istituzionali. Ciò determinò, nel 1991, una dura presa di posizione del Pds (l’ex PCI). Dopo una discussione all’interno dei gruppi parlamentari ed una votazione a maggioranza (con il voto contrario della componente riformista) il Pds chiese l’impeachment di Cossiga illustrando, nella mozione relativa, quella che a suo avviso era la “concatenazione logica e temporale” di atti e comportamenti del Capo dello Stato “volti intenzionalmente” a modificare la forma di governo’’. E che nel loro insieme configuravano – concludeva il testo – i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione. Giorgio Napolitano, il 24 marzo di quell’anno, in qualità di ministro degli Esteri del “governo ombra” del Pds, intimò a Cossiga di “tornare sul trono”, tapparsi la bocca e “rispettare i limiti entro cui la Costituzione colloca il ruolo del presidente della Repubblica ed entro cui è consigliabile e necessario che quel ruolo venga esercitato». Tuttavia, dissentì sulla richiesta di impeachment insieme agli altri “miglioristi”. Per fortuna, una serie di vicende fecero in modo che a quel voto non si arrivasse. E non si creasse un precedente, da richiamare quando un altro inquilino del Quirinale ha sollecitato, ispirato, promulgato e difeso una legge di riforma costituzionale bocciata dal 60% dei partecipanti al voto. Il Pds nel 1991 sbagliò. Per fortuna nessuna forza politica ha commesso il medesimo errore nel 2015. Ma le circostanze non erano forse analoghe?
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Povero Giulio Regeni. Le ammissioni del capo del sindacato degli ambulanti del Cairo hanno aggiunto un ulteriore frammento ad una verità sull’assassinio del giovane ricercatore che è talmente palese da non avere bisogno di essere cercata e che, nonostante ciò, probabilmente non sarà mai trovata.