Enrico Zanetti, segretario di Scelta Civica, viceministro dell’Economia del governo Renzi, è l’unico della pattuglia di oltre quaranta sottosegretari e viceministri del governo Renzi, insieme con l’ex sottosegretario alla presidenza Tommaso Nannicini, ad aver declinato l’offerta di conferma nel ruolo che il premier Paolo Gentiloni aveva fatto in blocco a tutti.
Perché questa scelta?
Perché non ho condiviso la logica del governo fotocopia. Un nuovo governo di rapida transizione, in attesa di una legge elettorale omogenea per le due Camere, è una necessità oggettiva e non avrei avuto difficoltà a parteciparvi anche con altri ruoli, se necessario.
Ma un governo fotocopia non era un’ipotesi naturale?
Un governo fotocopia, al netto del passo indietro di Renzi, dopo il voto di massa del 4 dicembre, mi sembra invece una forzatura che tiene conto dei fragili equilibri dei partiti di maggioranza, ma presta troppo poca attenzione agli elettori.
Che cosa farà ora? Appoggerà o no il governo Gentiloni?
Ho partecipato con grande convinzione al governo Renzi e, se dovessero crearsi le condizioni politiche, sarà un onore fare parte di un secondo governo Renzi, ma con Renzi e soprattutto dopo il voto degli italiani. Naturalmente il mio passo indietro non toglie il fatto che, fino a che non avremo una legge elettorale per andare a votare, da parte nostra non ci saranno voti di sfiducia al Governo Gentiloni, perché in questa fase un governo è una necessità oggettiva.
E il rapporto con Ala non ha influito sulla sua decisione?
Le ragioni sono quelle che ho detto, ma non vi è dubbio che ho trovato pessimo e ingiustificato il trattamento riservato agli 8 deputati e soprattutto ai 18 senatori di Ala, senza i quali buona parte di quelle riforme, che lo stesso Gentiloni rivendica con giusto orgoglio, non avrebbero trovato i numeri in Parlamento. Anzi, colgo l’occasione per ringraziarli pubblicamente quale componente di un governo che, senza il loro supporto, peraltro a poltrone zero, avrebbe ballato tante e tante volte. E credo dovrebbero ringraziarli pure partiti come Forza Italia che, grazie ad Ala, hanno potuto giocare per più di un anno all’opposizione dura e pura nella serenità che tanto la baracca reggeva, mentre ora si ritrova costretta a venire allo scoperto con il soccorso azzurro.
Dica la verità, si è pentito della fusione con Ala di Verdini?
Non posso essere pentito di qualcosa che non abbiamo fatto. Scelta Civica e Ala sono tuttora due autonomi soggetti politici, con alle spalle storie diversissime, che hanno dato vita a una federazione dei gruppi parlamentari, analogamente a quanto fecero ad esempio Udc e Ncd fino a poco tempo fa, in funzione di tre obiettivi programmatici comuni molto chiari: un sostegno forte e senza tentennamenti al referendum costituzionale, dando vita con la sinergia delle rispettive reti territoriali ai comitati locali Liberi Sì, presieduti a livello nazionale da Marcello Pera; un sostegno altrettanto forte all’azione riformatrice del governo Renzi, spesso messa da sinistra in discussione e in difficoltà dalla minoranza Dem; l’avvio del più ampio processo di riorganizzazione del centro moderato e liberale che, da posizioni autonome, guarda in caso di coalizioni alla leadership di Renzi.
Ma ha ancora senso questa federazione?
Sì. La cocente sconfitta del Sì al referendum, nonostante un 41% estremamente interessante a livello politico, si è portato via anche il secondo punto programmatico dell’accordo politico, cioè il Governo Renzi. Resta il terzo fondamentale punto, quello di maggiore prospettiva politica e cioè dell’avvio della riaggregazione del centro moderato e liberale. È evidente che, ove questo processo non vedesse step ulteriori nelle prossime settimane con l’allargamento ad altre forze, verrebbero meno tutti i motivi politici della federazione e ciascuno a quel punto potrebbe tornare a fare la propria strada, ma non è certo questo lo scenario che auspico, né prevedo.