Domenica il Times di Londra ha pubblicato un’intervista al presidente eletto americano Donald Trump, la prima concessa ai media europei (è uscita anche sulla tedesca Bild) dopo la vittoria elettorale. Una discussione di un’ora con i giornalisti che ha prodotto una sorta di programma per il futuro.
I CONTROLLI SUGLI EUROPEI
Uno degli stralci più ripresi è un passaggio sulla possibilità di restrizioni di ingresso negli Stati Uniti per i cittadini europei. Trump ha detto che appena dopo il suo insediamento (la cerimonia inaugurale sarà venerdì 20 gennaio) firmerà alcuni provvedimenti per rafforzare i confini americani. Queste misure non è escluso che possano comprendere anche restrizioni sugli europei che viaggiano in America (e questo, è quasi superfluo sottolinearlo, rappresenterebbe una problematica per chiunque, dai semplici turisti o studenti, fino ai molti che si muovono negli Usa per business). Inoltre, sull’argomento, Trump ha annunciato “controlli estremi” per coloro che arrivano “da parti del mondo conosciute per il terrorismo islamico”.
MERKEL E LA DOMINAZIONE EUROPEA
L’argomento immigrazione è stato usato anche come vettore per un attacco indiretto alla cancelliera tedesca Angela Merkel: ha definito “un errore catastrofico” le politiche di apertura delle frontiere proposte dal governo tedesco, mettendo un piedi su una delle più importanti polemiche interne che stanno accompagnando il tentativo di ri-elezione per il quarto mandato della cancelliera. Trump, come ha scritto Bloomberg, ha cercato di “ritrarre l’UE come strumento di dominazione tedesca progettato con lo scopo di battere gli Stati Uniti nel commercio internazionale”. Un affondo su questo ha interessato la Bmw: la Bild ha sottolineato che Trump ha avvisato la casa automobilistica tedesca della possibilità di dazi sulle importazioni se non cambierà la decisione di produrre in un impianto in Messico.
LA BREXIT (E UE)
Trump ha detto che la Brexit, il referendum con cui gli inglesi hanno deciso l’uscita dall’Unione europea, è stata “a great thing”, una gran cosa, e per questo sta pensando di invitare presto la premier britannica Theresa May per negoziare direttamente accordi commerciali favorevoli. Non è la “Special Relationship” di Winston Churchill, ma una provocazione che il repubblicano ha lanciato: meglio trattare con Londra perché è fuori dall’Europa, e questo genere di rapporti privilegiati potrebbero toccare anche ad altri paesi, perché secondo il presidente eletto anche in altre nazioni europee si prenderanno presto decisioni analoghe alla Brexit. Il corrispondente di Repubblica Federico Rampini ricorda che con questo genere di dichiarazioni si rompe una tradizione bipartisan “che risale a John Kennedy, una lunga sequenza di Amministrazioni americane decisamente favorevoli al progetto europeo”.
LA NATO
Altro affondo sulla Nato: “È obsoleta. Non è attrezzata per combattere il terrorismo islamico e i suoi membri si appoggiano sull’America, non pagano quello che dovrebbero pagare”. Si tratta di critiche già espresse in campagna elettorale, rincarate utilizzando la stessa scelta semantica, “obsoleta” (su cui tra l’altro ha calcato a stretto giro pure il portavoce del Cremlino), a dimostrazione che l’inizio della fase presidenziale non corrisponde completamente con cambi di linea (lo è stato su alcuni argomenti e su alcuni toni, lo è meno su altri). Il riequilibrio (definizione del professore Carlo Pelanda su Formiche.net), partendo dal rapporto con gli alleati per proseguire con l’ingaggio globale, è una delle prerogative di Trump, e dunque l’argomento resta ancora caldo e battuto. Che coccia però con le visioni di alcuni alti funzionari da lui stesso nominati: a cominciare dalle dichiarazioni del futuro capo del Pentagono, il generale James Mattis, durante l’audizione al Senato per la conferma della sua nomina. Mattis, che all’interno dell’Alleanza Atlantica ha ricoperto anche ruoli apicali, ha detto che “se la Nato non ci fosse bisognerebbe inventarla”, definendola come una realtà centrale per il sistema di difesa americano.
PUTIN E LA RUSSIA
Mattis, così come Mike Pompeo, il futuro capo della Cia scelto da Trump, durante le loro audizioni hanno preso anche una linea diversa da Trump a proposito della Russia, considerata da entrambi una minaccia molto più che un interlocutore. Diverso invece quanto detto dal presidente eletto al Times. In cambio di un accordo per la riduzione delle armi nucleari (sono 1.796 le testate schierate dalla Russia, secondo l’ultima valutazione pubblicata dal Dipartimento di Stato), Trump ha annunciato di poter anche proporre la riduzione delle sanzioni che gli Stati Uniti avevano alzato nei confronti di Mosca – e di molti elementi legati a stretto giro al presidente Vladimir Putin. La questione del rapporto con la Russia, e con Putin, ha acquisito così ulteriore centralità, dopo che da giorni è argomento di dibattito pubblico e politico. Mentre Trump per tutta la campagna elettorale ha parlato della necessità di aprirsi maggiormente alla Russia, a fine dicembre l’amministrazione americana ha punito con sanzioni alcuni elementi dei servizi segreti russi perché ritenuti responsabili degli attacchi hacker subiti dai Democratici durante i mesi che hanno preceduto il voto: l’accusa è aver prodotto con questi interferenzi sul risultato finale. La scorsa settimana, inoltre, è stato diffuso con molto scalpore il contenuto di un report grossolano e poco verificato circa la presenza di kompromat su Trump, ossia strumenti di ricatto (registrazioni, intercettazioni, dossieraggio) raccolti dall’intelligence russa per tenere sotto ricatto il presidente americano.
LA SIRIA E Il MEDIO ORIENTE
Durante l’intervista di domenica, nonostante le aperture verso Mosca, Trump ha anche criticato l’intervento russo in Siria, “una pessima cosa”, che ha – insieme all’Iran, dice il presidente, che ha non perso occasione per attaccare il deal sul nucleare con Teheran – favorito troppo il regime creando una crisi umanitaria. Queste affermazioni contraddicono in parte le posizioni espresse durante la campagna, quando Trump sosteneva che sulla Siria (come su altri dossier) occorreva coordinarsi con Mosca, e al limite imbarcare obtorto collo anche Bashar el Assad come partner per la lotta al terrorismo. Trump ha anche parlato della nomina di suo genero Jared Kushner come inviato della Casa Bianca per la crisi israelo-palestinese e ha esortato il governo inglese a porre il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu su qualsiasi risoluzione proposta che possa essere negativa per Israele. Un’affermazione che ha un valore politico, perché uno degli ultimo passaggi della presidenza Obama è stato proprio astenersi all’Onu su una risoluzione che indicava i settlement come illegali.