Taranto Business: sarebbe questo il significato dell’acronimo “TABU” usato da Giulio Occhionero per classificare una parte delle informazioni raccolte attraverso l’attività di spionaggio che lo ha portato in carcere assieme alla sorella Francesca, e contenente account e password collegati all’Autorità Portuale di Taranto oltre al nome di Vincenzo Fortunato, il capo di gabinetto del ministero dei Trasporti che si occupò del progetto. Il collegamento con Taranto, come spiega l’ordinanza d’arresto, assume particolare rilievo in quanto “la società Westlands Securities, riconducibile a Giulio e Francesca Occhionero, ha fornito consulenza al governo statunitense in un’operazione commerciale per la costruzione di infrastrutture nel porto di Taranto”. Occhionero, infatti, presentò un progetto da 800 milioni di euro per il porto, poi mai realizzato.
IL PROGETTO AL PORTO DI TARANTO
Le vicende sul porto di Taranto sarebbero iniziate attorno al 2005 per poi proseguire a cavallo tra il 2007 e il 2008. Come ha spiegato a TarantoBuonasera Michele Conte, che all’epoca dei fatti aveva seguito il progetto prima come segretario generale e poi come presidente dell’Autorità Portuale, “Giulio Occhionero si presentò come titolare della americana Westlands Securities (società che fa capo agli Occhionero, qui i dettagli), una società di consulenza internazionale che operava anche in borsa. Occhionero era accompagnato da lettere di accredito di banche inglesi o americane”. L’ingegnere nucleare “proponeva un investimento di 800 milioni di euro per realizzare ciò che in effetti era previsto nel piano regolatore portuale: l’allargamento del molo ovest, quello che oggi teoricamente dovrebbe ospitare la cassa di colmata per i dragaggi, e l’utilizzo dell’ex yard Belleli per realizzare un terminal container e un impianto di trasformazione di prodotti agroalimentari. In pratica, una sorta di distripark. Occhionero parlava di occupazione per cinquemila addetti”. A scrivere il progetto fu l’ingegnere di Taranto Luigi Severini, che al Fatto Quotidiano ha raccontato: “C’era Occhionero più un gruppo d’imprese inclusa una società Usa, abbastanza addentro alle questioni portuali, soprattutto la banca d’investimento Bear Stearn (la prima a fallire nella crisi dei mutui americani nel 2008, ndr), che è la sesta banca investimenti industriali americana, con sede a Londra. Io e Occhionero avemmo più incontri con il consolato americano a Napoli e ricordo che la sede della sua azienda era a pochi metri dall’ambasciata americana a Roma. Al consolato aveva ottimi rapporti con almeno un paio di persone”.
I DUBBI DI CONTE
L’investimento proposto da Occhionero attirò l’attenzione dei rappresentanti delle istituzioni locali e di molte imprese, ma Conte sollevò dubbi: “In verità – spiega – quando chiesi con quali fondi sarebbe stato finanziato questo massiccio investimento, Occhionero mi parlò di fondi pensionistici statunitensi. Ebbi allora l’impressione che potesse trattarsi di qualcosa di piuttosto vago e allora chiamai il consolato americano a Napoli per chiedere informazioni. Mi risposero che non sapevano assolutamente nulla”. A far procedere con cautela l’allora presidente dell’Autorità Portuale anche la proposta presentata da Occhionero, “un atto di concessione che stravolgeva i termini della legislazione italiana, perché capovolgeva le responsabilità giuridiche attribuendole in capo allo Stato” e che fu per questo “rispedita al mittente”.
IL RUOLO DI DI PIETRO
Dopo il freno imposto da Conte (e dai limiti imposti dal piano regolatore) al progetto, entra in gioco l’allora ministro per le Infrastrutture e dei Trasporti Antonio Di Pietro. Il ministro viene a conoscenza del progetto per bocca di Luigi Severini che, spiega al Fatto, ne avvia i rapporti “a Bari durante una conferenza sui porti. Gli accennai del progetto, mi disse di spedirglielo con una mail, lo incontrai una decina di giorni dopo: l’aveva già studiato e avviamo l’iter. Poi la vicenda fu seguita da Fortunato, il suo capo di gabinetto e dall’unità di missione del ministero, e ancora oggi credo che sia stata un’occasione perduta per Taranto”. Ma a mancare è lo studio di fattibilità preliminare mai inviato dalla Westlands Securities né all’autorità portuale (ossia Michele Conte), né al ministero, che ne chiese l’invio proprio a Conte. “Occhionero non si fidava – spiega ancora Severini -. Temeva che poi l’autorità portuale avrebbe dato spazio a qualche concorrente, il che era ovvio, perché comunque il tutto doveva sottostare a una gara pubblica”.
COSA SCRIVE REPUBBLICA
Scrivono oggi Carlo Bonini e Giuliano Foschini di Repubblica: “L’allora consigliere politico dell’ambasciata Usa in Italia, Barbara Leaf accompagna gli Occhionero e ne sostiene politicamente lo sforzo. Forse perché i due fratelli sono in realtà il cavallo di Troia di un progetto che non ha nulla a che vedere con i container, ma molto ha a che fare — come annota in quegli anni qualche cronaca — con il piano dell’Amministrazione Bush di ridefinire la presenza della Marina militare Usa nel Tirreno, con la creazione di un Interporto a Taranto che consenta alla Us Navy di sottrarsi alla catena di controllo della Nato”. “Sono anni in cui il rapporto tra Roma e Washington – aggiunge Repubblica -, tra Berlusconi e Bush, è saldo come la gomena di una nave”. È possibile, secondo Bonini e Foschini, che lo scopo del progetto degli Occhionero non avesse nulla a che vedere con con i container, ma con “il piano dell’Amministrazione Bush di ridefinire la presenza della Marina militare Usa nel Tirreno, con la creazione di un Interporto a Taranto che consenta alla Us Navy di sottrarsi alla catena di controllo della Nato. Un interporto in cui convogliare materiali e mezzi da disimpegnare dall’allora base della Maddalena e dove implementare un sofisticato sistema di comunicazioni che colleghi direttamente Taranto al ‘Navy Center for Tactical System Interoperability’ di San Diego, California”.
I CONTI DELLA WESTLANDS SECURITIES
La rete di contatti e di rapporti tra gli Occhionero e gli Stati Uniti trovano un altro punto di contatto nei conti dell’ormai chiusa Westlands Securities. Nel bilancio 2012 della srl, infatti, si legge che la società vantava un credito di quasi tre milioni di euro verso la società di consulenza legale Miller & Taylor, cui gli Occhionero erano pronti a rinunciare. Tale rinuncia, riporta Il Messaggero, viene motivata da Occhionero con una nota in cui spiega che si tratta di “una scelta imprenditoriale, fondata sui buoni rapporti commerciali pregressi”.