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Come cambia l’industria farmaceutica

Di Fabio Pammolli e Armando Rungi

Il settore farmaceutico sta attraversando una fase di profonda trasformazione su scala globale. La riduzione delle distanze geografiche tra Paesi e la rivoluzione scientifica e tecnologica in corso nelle scienze della vita sospingono la trasformazione dei modelli organizzativi, in modo da reagire alla crescente pressione competitiva di mercati sempre più globali.

Le imprese farmaceutiche sono chiamate a organizzare la propria produzione attraverso i confini nazionali, allo stesso tempo fornendo nuove risposte alla domanda di salute dei Paesi emergenti.

Nella sola Unione Europea, il commercio fra Paesi Membri è cresciuto cinque volte più velocemente della media del settore manifatturiero, anche grazie ad una progressiva armonizzazione legislativa su scala continentale. Tra i Paesi dell’Unione, l’Italia si piazza al secondo posto dopo la Germania per fatturato, ed esporta circa il 73% dell’intera produzione, prevalentemente all’interno della stessa Unione Europea, qualificandosi come vero e proprio hub produttivo. Nel 2015, l’indotto generato localmente è pari a circa 6,4 miliardi di euro, includendo beni e servizi intermedi (incluse le attività R&S) prodotti in Italia.

Il Paese mantiene la sua posizione, conquistata nel tempo, di grande produttore ed esportatore di prodotti farmaceutici, in Europa e nel mondo.

Il successo del comparto è sostenuto anche da una forte componente di investimenti diretti dall’estero. Il settore è infatti tra i più internazionali in Italia, se è vero che otto tra le maggiori dieci imprese sono affiliate di multinazionali del farmaco, seppure spesso con una storia centenaria di presenza sul territorio. Le multinazionali del farmaco creano e distribuiscono valore in Italia per circa il 58% dell’intero settore e occupano circa il 54% del totale degli addetti. D’altro canto, i produttori multinazionali presenti in Italia creano e importano conoscenza nel nostro Paese, perché partecipano e fanno partecipare l’Italia alle reti mondiali di ricerca.

Nel mondo, più di 7.000 medicinali sono attualmente in fase di ricerca e sviluppo, anche grazie all’impegno dei ricercatori e delle istituzioni di ricerca localizzati nel nostro Paese. Nel solo 2015, sono stati spesi circa 1,5 miliardi di euro in farmaceutica e biotech, di cui circa il 90% provenienti dal comparto privato, occupando 6.100 addetti alla R&S.

In una fase segnata da profonde trasformazioni nell’organizzazione e nella divisione internazionale del lavoro, risulta cruciale poter continuare ad attingere agli spillover di conoscenza, anche indiretti, che derivano dalla centralità di attori internazionali presenti nel Paese.

In particolare, le trasformazioni scientifiche nei campi della biologia molecolare, dell’immunologia, delle terapie geniche, della genomica, concorrono a determinare un forte cambiamento. L’impresa farmaceutica si articola, diventa più orizzontale. Da un lato, le nuove tecnologie informatiche permettono di meglio coordinare e separare le funzioni di business. Da un altro lato, la sempre maggiore interrelazione tra ricerca scientifica e tecnologica, unita alla crescente precisione delle ipotesi di ricerca sottoposte al vaglio dei test sperimentali sostengono la modularità e scomponibilità nell’organizzazione delle attività di ricerca. Il grande laboratorio di ricerca e sviluppo integrato viene sostituito da reti estese e articolate di collaborazione con centri di ricerca pubblici e privati, istituti universitari, fondazioni, impegnati nella formulazione e nel vaglio sperimentale di un’ampia varietà di ipotesi di ricerca.

Negli ultimi tre anni, in Italia, il sistema delle imprese ha destinato in media una quota pari all’8% del valore aggiunto al finanziamento di nuovi progetti d’investimento, di cui circa il 60% in R&S.

GlaxoSmithKline (GSK), con le sue consociate italiane, fattura circa 1,8 miliardi di euro e genera poco meno di un miliardo di valore aggiunto. Le attività che il gruppo multinazionale ha localizzato in Italia sono tra quelle a più alto contenuto di valore su scala europea. Nel nostro Paese, GSK ha costituito una vera e propria filiera del farmaco, in grado di servire circa 120 destinazioni estere. Le attività italiane del gruppo rappresentano poi un interessante caso di studio per la capacità di stabilire collaborazioni di ricerca in grado di valorizzare e sostenere centri di ricerca e nuclei di competenze eccellenti all’interno del sistema della ricerca non industriale. Basti pensare alle collaborazioni che, a partire dal 2010, sono state avviate con Telethon e Fondazione San Raffaele per lo sviluppo di terapie per sette diverse malattie genetiche.

Si tratta di un’esperienza che merita di essere analizzata e compresa, per far sì che il Paese rafforzi le proprie capacità di attrazione d’investimenti produttivi e di ricerca in un settore dall’alto contenuto di innovazione, capace di generare valore e di concorrere in modo significativo alla formazione e alla ritenzione di un ricco tessuto di capitale umano altamente qualificato e di nuove conoscenze scientifiche.

Fabio Pammolli, Politecnico di Milano

Armando Rungi, IMT Alti Studi Lucca

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