Sotto questo aspetto trovo divertente, si fa per dire, sempre nei confini del Carnevale, la prima pagina dell’Unità di Sergio Staino -e di chi sennò- dominata dalla rappresentazione a colori del sogno funebre di un Renzi generoso, avvolto alla maniera russa in un letto di fiori e circondato da compagni in lacrime. Un sogno però interrotto da una telefonata di Matteo Orfini, il presidente del partito e ora anche reggente, essendosi il segretario dimesso per avviare le procedure del congresso che reclamavano le minoranze. Le quali si sono accorte solo in ritardo dell’inevitabile “rito abbreviato”, lamentato dal magistrato in aspettativa e governatore pugliese Michele Emiliano ma prescritto dallo statuto del partito. O “cotto e mangiato”, secondo la ricetta dell’ormai ex piddino Pier Luigi Bersani: quello che solo qualche mese fa avvertiva Renzi che dal partito egli sarebbe uscito solo di peso, con l’intervento non delle solite forze dell’ordine ma di qualche reparto speciale dell’Esercito, magari comandato in persona dalla renziana e marziana ministra della Difesa Roberta Pinotti. Che rideva divertita, forse intuendo che non avrebbe dovuto scomodarsi tanto.
Poi ha fatto tutto da solo l’uomo di Bettola, il paesino della provincia di Piacenza dove l’attentissima Repubblica di carta ha appena spedito un inviato per raccogliere le reazioni di sostanziale indifferenza dei concittadini dell’ex segretario del Pd. Che d’altronde non era riuscito, durante la militanza, neppure ad evitare che la locale sezione del partito chiudesse per esaurimento degli iscritti. Ora, a scissione consumata, mentre i suoi compagni organizzano la formazione dei nuovi gruppi parlamentari e ne definiscono bene il nome, il buon Bersani può annunciare solennemente alla televisione che neppure lui rinnoverà quest’anno la tessera, risparmiandosi così la fatica di averne evidentemente due, perché immagino che anche il nuovo partito dei suoi compagni farà un tesseramento.
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Bisogna dire che Bersani, Roberto Speranza, il governatore della Toscana Enrico Rossi, lo storico Miguel Gotor, l’impegnatissimo Massimo D’Alema, che scende e sale da aerei e treni per dividersi fra i suoi impegni internazionali e italiani, culturali e politici, e tutti gli altri fuggiti dal Pd sono a loro modo fortunati perché sono riusciti a lasciarvi dentro Michele Emiliano. Il quale ha generosamente deciso di continuare a creare problemi a Renzi e a risparmiarne ai compagni che cambiano casa.
Nell’annunciare di persona alla direzione del Pd la decisione di restare confermando la candidatura a segretario, il governatore pugliese ha prodotto di sé ancora altre immagini, sempre di battaglia, di movimento, di rivoluzione, come quella evocata non più di tardi di sabato scorso a Testaccio cantando “Bandiera rossa” in compagnia di quelli che ha poi abbandonato.
Il personaggio che Emiliano ha scelto ora di emulare, si spera solo nel tempo libero, e non anche alla guida della giunta regionale della Puglia, è addirittura Che Guevara. Prima o dopo vedremo anche lui viaggiare in moto: altro che la bicicletta ogni tanto usata da Renzi, e un po’ dismessa forse negli ultimi tempi, vista una certa sua pinguedine.
Più che con il sempre odiato Renzi, di cui non tarderà a dileggiare anche il viaggio che sta facendo in California per informarsi dell’innovazione e di quant’altro, Emiliano dovrà vedersela in Italia con il grillino Alessandro Di Battista, Dibba per gli amici, con due b. Che per ora però, essendo romano, ha guadagnato solo la versione trasteverina del guerrigliero argentino. Mi raccomando, argentino. Ditelo ad un altro grillino, il vice presidente della Camera e dei congiuntivi Luigi Di Maio, perché non scambi pure el Che per un venezuelano, come ha fatto col cileno Pinochet.
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A proposito dei grillini, bisognerebbe dare al comico e garante del Movimento 5 Stelle il benvenuto nel mondo o nel linguaggio di Silvio Berlusconi, ch’egli ha tanto disprezzato per anni liquidandolo come “psiconano”.
Costretto a venire sempre più di frequente a Roma per assistere – non dico “commissariare”, come scrivono altri – la sindaca Virginia Raggi, proteggendola da incompetenti, assicuratori e quant’altro, Grillo si è accorto che la Capitale “non va poi così male”.
Fra un incontro e l’altro, con una rete così fitta di contatti che non si capisce francamente perché si sia sentito diffamato quando ha letto la pur “bufala”, come l’ha chiamata, di una riunione attribuitagli con persone interessate alla costruzione del nuovo stadio della Roma, a Tor di Valle, Grillo ha detto che della Capitale bisogna cambiare “la percezione” che si ha nel vederla a prima vista. Bisogna adottare la sua, di percezione.
Vi ricordate il Berlusconi del 2011, quando soffiavano forti i venti della crisi economica e finanziaria, mister Spread si divertiva con i titoli di Stato italiani deprezzandoli al massimo e si preparava il Paese all’evento del governo tecnico del “sobrio” Mario Monti?Anche allora Berlusconi reclamava la “percezione” buona dei ristoranti pieni, delle agenzie di viaggio affollate, degli acquisti di gioielli e pellicce e via consolando. E Grillo nella sua Genova o dintorni rideva, non immaginando che dopo sei anni sarebbe toccato a lui di parlare a Roma della “percezione” del bene opposto al male avvertito dagli altri.