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Vi spiego perché la strada di Matteo Renzi per tornare alla guida del Pd sarà tortuosa

Qualcuno comincia ad accorgersi, non lasciandoci più soli su Formiche.net, dell’operazione scattata per mescolare il percorso del congresso nazionale del Pd con quello delle indagini giudiziarie nelle quali è stato coinvolto il padre di Matteo Renzi, Tiziano. Che è alle prese col reato di traffico d’influenze sugli acquisti miliardari della pubblica amministrazione gestiti dalla Consip.

“Scoppia il caso di Emiliano” ha titolato in prima pagina Repubblica riferendo del nuovo ruolo assunto dal governatore pugliese. Che, oltre a contendere a Matteo Renzi la segreteria del partito, insieme col ministro Andrea Orlando e con la torinese Carlotta Salerno, è ora testimone nelle indagini sul padre dell’ex presidente del Consiglio.

Alla Procura di Roma il governatore, candidato segretario del Pd e testimone giudiziario sarà sentito “presto”, ha annunciato in prima pagina con motivata soddisfazione Il Fatto Quotidiano. Motivata, perché a stimolare l’attenzione degli inquirenti è stato proprio il giornale diretto da Marco Travaglio riferendo di alcuni messaggi elettronici mostrati dallo stesso Emiliano ad un cronista. Essi contengono informazioni scambiate nel 2014  fra lo stesso Emiliano e l’allora sottosegretario renziano Luca Lotti, oggi ministro di Paolo Gentiloni, a proposito di Carlo Russo, l’amico di Tiziano Renzi coinvolto anche lui nella vicenda giudiziaria della Consip. Che vede peraltro indagato pure Lotti, accusato col comandante generale dei Carabinieri e un altro alto ufficiale di avere danneggiato l’inchiesta, allora gestita solo dalla Procura di Napoli, rivelando agli interessati di essere intercettati.

E’ insomma un grande e inquietante pasticcio, di cui ha scritto anche Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera riferendo dell’ingresso di Emiliano nell’elenco dei testimoni per via dei suoi messaggini elettronici. Alcuni dei quali – secondo le cronache del Fatto- riguarderebbero anche i contatti con Emiliano tentati o avuti dal padre di Renzi in persona.

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In questo contesto giudiziario e politico potrebbero assumere un certo peso, si vedrà se giocando contro o a favore di Renzi per l’eco mediatica che potrebbero avere le indagini, i tempi congressuali appena fissati dalla direzione del Pd, meno brevi o più lunghi -come preferiti- di quelli originariamente previsti.

In particolare, le primarie per la scelta del segretario sono state fissate per il 30 aprile, e non per il 9, come si era detto attribuendo la data più vicina, a torto o a ragione, alle richieste o alle pressioni di Renzi. Che da segretario dimissionario, anzi da ex segretario, si è tenuto fisicamente lontano dagli adempimenti della direzione del partito con una trasferta di studio e di relazioni in California.

Sul piano più strettamente politico, l’allungamento dei tempi congressuali rende assai più difficile, diciamo pure irrealistica, la prospettiva delle elezioni anticipate a giugno, come ha tenuto a sottolineare Piero Fassino, in polemica però con le minoranze uscite o rimaste nel Pd, che avevano accusato Renzi di propositi opposti.

D’altronde, lo stesso Emiliano, nell’intervento a sorpresa svolto domenica scorsa all’assemblea nazionale del partito, quando cominciò a staccarsi dal cartello degli scissionisti pur rimanendo critico col segretario dimissionario, parlò di un “equivoco”  insorto con Renzi sul progetto di elezioni anticipate a giugno. Egli arrivò addirittura a scusarsene.

Ma l’effetto politico più importante del pur breve allungamento dei tempi congressuali – a prescindere, ripeto, dalle complicazioni quanto meno mediatiche che potrebbero derivare alla corsa di Renzi per il ritorno alla segreteria dagli sviluppi delle indagini giudiziarie sugli affari della Consip- sta nei nuovi spazi che si sono aperti alla candidatura di Andrea Orlando.

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E’ accaduto, in particolare, che Massimo D’Alema, che può ben essere considerato il grande regista della scissione in corso del Pd,  ha annunciato che un’elezione di Orlando a segretario, per il modo in cui il ministro si è proposto, denunciando la “prepotenza” di Renzi, suo ex socio politico di maggioranza nel partito, e per le sue origini, provenendo egli dal Pci, potrebbe consentire ai fuoriusciti di tornare indietro: a casa o, come dice Pier Luigi Bersani, nella “ditta”.

Ciò significa che, sentendosi ancora della partita con Orlando in corsa, al netto dei voti che potrebbe sottrargli Emiliano con la storia delle indagini giudiziarie sul padre di Renzi, il guardasigilli potrebbe contare nelle primarie, notoriamente aperte, per partecipare alle quali basterà versare due euro, sulle truppe dalemiane, bersaniane e di ogni altra matrice. Queste si sarebbero sentite invece estranee se il concorrente di Renzi fosse rimasto solo il governatore pugliese, ormai inviso agli scissionisti per averli abbandonati per strada.

Una cosa comunque è certa: la partita renziana si è fatta più difficile, o meno scontata di quanto forse l’ex presidente del Consiglio riteneva sino a qualche giorno fa. Continua tuttavia a fare concorrenza a Renzi, quanto a problemi, la sindaca grillina di Roma Virginia Raggi. Che, stressata anche dalla gestione del progetto del nuovo stadio giallorosso da costruire a Tor di Valle, ha dovuto ricorrere ai medici di un ospedale chiedendo a Beppe Grillo -secondo  una irriverente vignetta di Vauro comparsa sul pur insospettabile Fatto Quotidiano- di dire il classico trentatré chiestole da chi la visitava.

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