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La scomparsa a Pesaro dello storico Antonio Brancati

Carlo Azeglio Ciampi

Anche il conservatorio statale Rossini è rimasto scosso per la scomparsa di Antonio Brancati, che fu presidente dell’istituto dal 1983 al 1987, e avverte sentita vicinanza ai familiari dello studioso. Eppure il “grande appuntamento” è il più consueto e prevedibile che l’esistenza possa riservare. La vita è un’eventualità: può sorgere o meno. Ma la morte è il dato più certo che possa esistere. Eppure stupisce e addolora suscitando, come nel caso di Brancati, tanto generale e profondo cordoglio, a qualunque età intervenga. Perché tra razionalità e sentimento, è il secondo che prevale, distinguendo l’uomo dalla macchina.

Su questo personaggio, dall’esistenza tanto intensa, i molti che l’hanno “visto da vicino” hanno offerto il loro documentato ricordo. Mi accodo ad essi, apportando qualche frammento rievocativo. Per alcuni anni a Pesaro fummo vicini di casa e non era infrequente osservarlo dalla strada, anche quando rientravo a tarda ora, chinato sulle sue carte nell’ambiente seminterrato adibito a studio sottostante il suo appartamento.

I suoi manuali di storia erano molto accurati e apprezzati. Riferisce Giorgio Benelli, suo devoto sodale di studi: “Per ogni pagina c’erano sempre cinque o sei stesure da fare o da rifare”. E nella ricostruzione degli eventi storici emergeva questa esigenza di completezza, avendo egli peraltro il pregio di avvicinarsi il più possibile al presente. Al riguardo, su sua richiesta, avevo il piacere di comunicargli dal Senato gli aggiornamenti sui titolari delle massime istituzioni della nostra Repubblica.

Si occupò intensamente, come noto, di Terenzio Mamiani, il primo ministro dell’istruzione dello Stato italiano (a proposito: degnamente allocati in città, a parte i monumenti a Rossini e Garibaldi, i busti di Collenuccio e Cavallotti, nonché la statua di Perticari, non guasterebbe una più accurata evidenza del busto di Mamiani). E nella sua acribia non volle privarsi della foto – che gli procurai con premura – di una scultura del personaggio esposta nella prestigiosa sala Koch di Palazzo Madama.

La permanenza al conservatorio Rossini, dove comunque il giudizio unanime di impiegati e docenti del tempo era quello di aver avuto a che fare con un “gran signore”, si concluse in maniera un po’ brusca per difficoltà incontrate con gli apparati amministrativi . Molti anni fa egli stesso mi accennò, rievocando le sue dimissioni, che gli erano stati sollevati ostacoli addirittura per spese postali. “ Non ne ho voluto più sapere, e me ne sono andato”, specificò con energico movimento delle mani.

Anche i rapporti con i revisori ministeriali dei conti non furono brillanti. A tacere poi della direzione amministrativa dell’istituto che fu protagonista di un curioso episodio. Brancati era uomo devoto e prima di andare in conservatorio o nella sua preferita biblioteca “Oliveriana”, si fermava spesso nella chiesetta di san Giacomo, a fianco della sede del conservatorio, dove un giorno dimenticò talune carte riguardanti i rapporti da lui intrapresi con una tipografia per la stampa del noto testo – sua pregevolissima creatura – sulla storia dell’istituto. Una pia donna le rinvenne e le consegnò agli uffici che non mancarono di fargli pesare come le procedure relative a un adempimento dell’istituto dovevano seguire canali determinati e non rapporti diretti. Eterno conflitto tra intellettualità creativa e operosa, e burocrazia ligia alle direttive del “superiore ministero”.

Specie allora. Mentre ora il conservatorio è apparato certamente statale, ma non è più entità gerarchicamente subordinata a Roma e le nuove leve dei direttori amministrativi sono ottimi consiglieri che collaborano al superamento delle difficoltà, che anche oggi non mancano. Questa insofferente incompatibilità tra creatività e burocrazia, allora emersa, traspare anche nella rievocazione che Brancati svolge sui sette anni di direzione dell’allora liceo Rossini affidata a Mascagni sui quali lo scrittore, credo non a caso, nel suo volume si sofferma parecchio, con accenti solidali verso il “toscanaccio di Livorno”. A proposito del quale sostiene che “non venne da tutti ben capito per le sue audaci iniziative, per il suo rifiuto dei pudori provinciali e spesso tirannici, per le sue aperte ribellioni alle accademiche prudenze e alle pedanterie protocollari”.

Mentre ne esalta, giustamente, i meriti artistici rilevando che la scuola “con Mascagni venne a poco a poco trasformandosi in un grande centro artistico musicale anche grazie all’orchestra da lui voluta e guidata a mietere successi in Italia e all’estero ma soprattutto in virtù della struttura assunta dal liceo che, elevato ad altissima fama, aveva il suo momento culminante negli affollatissimi saggi e nei concerti di fine anno dallo stesso Mascagni organizzati e diretti”. Nel 1900, peraltro, il liceo musicale di Mascagni conquistò il “grand prix” all’Esposizione universale di Parigi.
Vera e propria impresa fu anche la redazione dell’elegante libro sul conservatorio, da lui curato senza chiedere alcun onorario. Il compimento dell’opera non ebbe vita facile.

“Vennero a sovrapporsi – puntualizza Brancati nella prefazione – ostacoli di ogni genere frutto spesso di una visione ristretta dei problemi intrinseci all’atto creativo e alla sua traduzione in realtà tipografica. Può anche verificarsi che i responsabili dell’edizione vivano momenti di scoraggiamento e di sconforto ai quali è possibile sfuggire solo se si ha la convinzione della piena validità del lavoro compiuto e del progetto ideati”. Più avanti lo storico aggiunge: “Quando l’attività redazionale era da poco iniziata lo scrivente si vide costretto per ragioni del tutto personali (le difficoltà incontrate con gli apparati amministrativi) a presentare al ministero le proprie irrevocabili dimissioni. E a quel punto restavano ormai ben poche speranze di tradurre in realtà il piano operativo”. “Eppure – conclude Brancati – l’idea di riprenderlo non tardò a rifarsi in me viva e pressante al punto da indurmi a stabilire nuovi contatti con alcuni docenti che sin dal tempo delle mie dimissioni non avevano fatto mistero di essere disposti a svolgere anche i lavori iniziati da colleghi dichiaratisi poi indisponibili ”. E così venne finalmente alla luce, dopo alterne vicende durate una decina d’anni, l’unico volume, al momento, che ripercorre in modo organico la storia, dal 1882 al 1992, del conservatorio pesarese .

Giorgio Girelli, presidente del Conservatorio statale Rossini

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