Il mantra del governo in materia di credito è ben noto: le banche italiane sono sicure e affidabili. Persino quando il Monte dei Paschi pareva a un passo dall’abisso, solo poche settimane fa, in piena crisi Mps, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ripeteva più o meno lo stesso concetto. La domanda a questo punto è, come stanno davvero le banche italiane? Il quesito è stato posto ieri mattina ai convenuti riuniti da Mediobanca e Fondazione La Malfa in Sala Zuccari del Senato. Obiettivo, capire quanto c’è di vero nell’ottimismo di Palazzo Chigi. Per farlo, Mediobanca ha passato al setaccio i bilanci di 492 istituti. Ecco cosa è emerso.
CESSIONE IN BLOCCO DELLE SOFFERENZE? UN CATTIVO AFFARE
Il vero problema, nemmeno a dirlo, quello delle sofferenze. Poco meno di 200 miliardi (valore netto) che da anni zavorrano i bilanci bancari, costringendo gli istituti a massicce cessioni di crediti (entro il 28 febbraio la Bce ha preteso piani credibili da parte delle principali banche italiane in materia di cessione di npl). Richiesta ragionevole se si pensa che secondo Mediobanca per, ogni cinque euro prestati, uno finisce incagliato. Ma c’è un altro dato che forse la dice ancora più lunga sulla gravità del fenomeno. Secondo Mediobanca, se tutte le banche si liberassero in sul colpo del grosso delle sofferenze, circa 176 miliardi, il patrimonio complessivo ne uscirebbe abbattuto del 40%. In altre parole, la maggior parte dei bilanci degli istituti si regge ancora su crediti di difficile riscossione. Di qui, ha sottolineato il responsabile dell’ufficio studi di Mediobanca, Gabriele Barbaresco, seri dubbi sulla bontà della vendita in blocco di npl, che avrebbe effetti più nefasti che altro.
COME SE LA PASSANO POPOLARI…
Chi sta meglio, le popolari, le banche cooperative o le spa? Il metro di misura è, ancora una volta, quello delle sofferenze. Partendo proprio dalle banche popolari, ancora in attesa di conoscere il proprio destino dopo lo stop del Consiglio di Stato alla riforma, emerge un ritratto in chiaroscuro. Se infatti da una parte infatti il tasso di crediti in sofferenza ammonta al 51,9%, contro il quasi 62% delle spa, dall’altra il volume di cerditi inesigibili in rapporto al patrimonio è del 43%, ben al di sopra di spa (35,6%) e Bcc (31,5%). Va un po’ meglio sul fronte delle garanzie apposte sulle sofferenze: se un prestito non torna indietro ci sono garanzie da aggredire. Su questo fronte, le popolari hanno una percentuale di sofferenze garantite pari al 76,2%, superiore al 71,1 delle spa ma di gran lunga inferiore alle banche cooperative (87,8%).
…E LE BCC
Chi sta forse meglio di tutte, anche se non mancano le criticità, sono proprio le Bcc. Dall’analisi di Mediobanca emerge un impatto delle sofferenze sul patrimonio pari al 31,5%, decisamente minore rispetto ai valori si spa e popolari. Ma il dato forse più significativo è quello relativo alle coperture sui crediti incagliati, sfiora addirittura l’88%. In pratica, quasi otto prestiti dalla difficile riscossione sono sufficientemente garantiti e questo permette, alla lunga, di limitare le perdite in bilancio ascrivibile ai mancati rimborsi. Di contro però c’è da dire che sia le Bcc sia le popolari vantano i maggiori costi operativi, dunque una gestione operativa non impeccabile e da rivedere. Al 79% le Bcc, al 78% le popolari e al 68% le spa.
SE LA GESTIONE DEGLI NPL E’ MEGLIO FARLA “IN CASA”
Il fatto è che le banche italiane secondo lo studio di Mediobanca hanno sofferenze con un valore contabile del 42% che è in linea con il valore medio di realizzo secondo quanto emerso dai dati della Banca d’Italia: 43% tra il 2006 e il 2015 mentre gli attori del mercato degli npl acquistano ad un valore del 23% del valore. Da qui la forte perdita patrimoniale dalla cessione in blocco e dunque la preferenza della gestione in house delle sofferenze da parte della banca: il valore di realizzo in questo casi è del 47% rispetto al 23% derivante dalla cessione a terzi.
LE STOCCATE DI MUCCHETTI
All’incontro in Senato ha poi preso parte anche uno che di banche se ne intende, Massimo Mucchetti (Pd), presidente della commissione Industria al Senato. Mucchetti, che da una parte ha riconosciuto come le banche italiane non vivano una situazione meno drammatica delle altre estere, ha però lanciato qualche stoccatina al governo. La prima su Mps, dove Il Tesoro si appresta ad entrare come azionista principale con almeno il 65-70% del capitale della banca senese. “Cosa fara il Mef? Avrà a che fare con il management, quale input darà al management?” si è chiesto Mucchetti. In particolare, al capitolo delle sofferenze, “che farà Mps? Proseguirà nella cessione a terzi come era nel progetto di Jp Morgan, dove guadagnavano i soliti noti, oppure potrebbe seguire, ad esempio, la strada di Unicredit. Speriamo che l’azionista pubblico faccia le scelte giuste“. La seconda puntura ha riguardato il decreto salva-risparmio in discussione al Senato. “E’ stato giusto farlo, certo però qualcuno lo aveva detto anche un anno fa che andava fatto questo tipo di intervento…”.