Il caso Zaia, come lo chiamano nella Lega, non è solo una questione di scaramucce tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Ma riguarda l’interno dei due partiti. Lunedì Berlusconi ha detto che “se io non potessi candidarmi alle elezioni, il candidato giusto sarebbe il governatore del Veneto Luca Zaia, che si sta comportando molto bene”. Le sue parole sono esplose come una bomba durante il consiglio federale del Carroccio in corso in quel preciso momento in Via Bellerio a Milano. Tanto che, nella conferenza stampa, per dare l’idea di unità del movimento, si sono presentati insieme Matteo Salvini, il governatore lombardo Bobo Maroni e lo stesso Zaia. Che ha obbedito agli ordini di scuderia. “Basta con questa manfrina, il candidato la Lega ce l’ha già ed è Matteo Salvini. Pur apprezzando la manifestazione di stima, questa storia sta penalizzando i veneti”, ha detto Zaia. “Se i leader degli altri partiti indicano nomi della Lega come candidati premier, sono il più felice e orgoglioso, ma se qualcuno pensa di mettere zizzania tra di noi facendo i nomi, ha sbagliato tutto, perché a differenza di altri noi siamo una squadra”, ha rincarato la dose Salvini. Che poi del Cavaliere ha bocciato pure la proposta sulla doppia moneta.
Ma perché Berlusconi per la seconda volta nel giro di pochi giorni ha tirato in ballo il governatore veneto come candidato premier? L’obbiettivo è triplice. Innanzitutto il Cavaliere vuole mettere in difficoltà Salvini dando la sponda a tutti i leghisti che mal lo sopportano. A cominciare dallo stesso Maroni, il quale ha intuito tutti i limiti del segretario, che con il suo populismo sembra aver fatto il pieno dei voti e infatti il partito non si schioda dal 13 per cento. Nella base lumbard i militanti sono in fibrillazione e in tanti muovono critiche alla strategia e al modo di porsi e di comunicare del giovane leader, anche se in silenzio, con parole e azioni quasi da carbonari. Il malessere, però, brucia sotto la cenere e vede in Maroni un punto di riferimento, mentre l’unico che ha il coraggio di criticare il segretario pubblicamente è Umberto Bossi. Insomma, “se volete liberavi di Salvini sappiate che avete il mio appoggio”, sembra dire Berlusconi ai leghisti. Nonostante il quadretto idilliaco di Via Bellerio a favore dei cronisti, Salvini è su tutte le furie e all’interno del movimento non si fida quasi di nessuno, tanto meno di Maroni e Zaia.
L’altro obbiettivo sono i filo-leghisti di Forza Italia, a cominciare da Giovanni Toti e Daniela Santanchè, che sognano un unico partito sovranista insieme alla Lega di Salvini. Per loro il messaggio è chiaro: “Io non mi unirò mai a una Lega a trazione salviniana, ma potrei fondermi con un Carroccio con un leader più presentabile e moderato”. Come appunto Zaia. Quindi – è il messaggio del Cav ai suoi – “finitela di tirarmi per la giacca, perché non ho nessuna intenzione di fare listoni o partiti unici la Lega di Salvini”. Qualche lista comune potrà esserci alle amministrative, ma nulla più. Di partito unico il leader azzurro non vuole nemmeno sentir parlare.
Infine, il terzo messaggio è per l’Europa. Con la sua azione Berlusconi vuol far sapere a Francia e Germania e alle alte sfere di Bruxelles e Strasburgo, che a lui interessa costruire un centrodestra italiano moderato e liberale, e non è interessato alle derive populiste e sovraniste di Le Pen e Salvini. Un messaggio anche per i giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo che dovranno giudicare sulla sua riabilitazione politica.
Last but not least, ci sono pure i sondaggi. Gli studi commissionati dal Cavaliere dimostrano che Zaia potrebbe davvero essere la carta vincente di una futura alleanza di centrodestra, se per lui non fosse possibile ricandidarsi a Palazzo Chigi. E Berlusconi nei suoi sondaggisti ha sempre riposto la massima fiducia. Anche per questo, per vedere l’effetto che fa, il Cavaliere ha lanciato Zaia nella mischia. E fonti bene informate assicurano che tutto ciò al governatore veneto non dispiaccia affatto. Perché lui, al contrario di Salvini, le elezioni vuole vincerle. Mentre l’attuale segretario si accontenterebbe pure di perderle bene, a patto di ottenere un buon risultato e riportare in Parlamento una truppa più ampia di quella attuale composta solo da suoi fedelissimi.