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Come arretra nella Turchia di Erdogan la libertà di stampa (e non solo di stampa)

In Turchia la campagna referendaria per la consultazione del prossimo 16 aprile è entrata nel vivo. Il popolo turco sarà chiamato a decidere se trasformare il Paese da una repubblica parlamentare a una repubblica presidenziale. Il capo dello Stato, Recep Tayyip Erdogan, stavolta si gioca il tutto per tutto e ha annunciato che per convincere il popolo turco girerà tutto il Paese. Un tour massacrante, da 5 città in tre giorni.

Ma la campagna referendaria va avanti anche senza esclusione di colpi. Ieri sera, il premio Nobel per la Letteratura, Orhan Pamuk, ha dichiarato che una sua intervista, rilasciata al quotidiano Hurriyet, è stata censurata. Lo scrittore aveva spiegato che era sua intenzione di votare no al referendum, e le motivazioni che lo spingevano a quella scelta. A confermare la censura dell’intervista è stato lo stesso Pamuk. Nessuna dichiarazione per il momento da parte di Hurriyet, dove però ci sono stati alcuni licenziamenti eccellenti. L’ultima, solo in ordine di tempo, è Tolga Tanis, una delle più note giornaliste di inchiesta del Paese.

Per chi perde il posto di lavoro, ce ne sono altri che vanno alla sbarra. I due casi più celebri al momento sono quelli di Ahmet Sik e Hasan Cemal. Il primo è noto alle cronache per il suo libro Imamin Ordusu l’esercito degli imam, in cui spiegava come Fethullah Gulen un tempo alleato di Erdogan oggi nemico numero uno del Paese e accusato di essere dietro il golpe dello scorso luglio, sia riuscito a infiltrare la burocrazia della Mezzaluna e in particolare la polizia. Il secondo è il decano dei giornalisti turchi, da sempre noto per le sue posizioni moderate e che si è ritrovato condannato a 15 mesi di carcere per propaganda del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan.

Dalla firma in prima pagina sui giornali ai corridoi dei tribunali il passo è breve. Come dalle aule universitarie, a fuori dai cancelli degli atenei. Il licenziamento di altri 330 docenti accusati di golpismo, proprio non è andato giù e gli accademici che hanno perso il lavoro da giorni manifestano fuori dalle università dove lavoravano.

Al clima di tensione localizzato, fa da contrasto un Paese dove la società civile sembra completamente silenziata e dove iniziano ad affacciarsi le prime preoccupazioni sull’economia. La disoccupazione a novembre ha passato il 12%, mai così alta dal 2010. I cambi con dollaro ed euro sono fuori controllo da tempo.

Una situazione di incertezza, dove Erdogan, anche grazie al controllo dei media, sta cercando di convincere che è ancora lui l’unica persona in grado di garantire al Paese stabilità e prosperità.

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