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Come la diplomazia italiana aiuta il made in Italy. Report Confindustria

Può la diplomazia aiutare l’economia? Secondo gli esperti di Prometeia e di Confindustria, sì. L’argomento è stato discusso ieri mattina nella sede romani dell’associazione degli industriali, alla presenza del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia e del ministro degli Esteri, Angelino Alfano, intervenuti davanti a una ricca platea di manager e imprenditori (tra cui gli azionisti di Trevi e Mermec)  e coordinati da Antonio Polito del Corsera.

POTERE DELLA DIPLOMAZIA

Il punto di partenza è questo? Essendo l’Italia un Paese a maggioranza di piccole e medie imprese, spesso e volentieri queste aziende non hanno la struttura necessaria per sbarcare nei mercati più appetitosi. Tantomeno per aggiudicarsi le gare per la realizzazione di progetto, il grosso dei quali legato alle infrastrutture e all’energia. E qui, secondo Prometeia, entrano in gioco le feluche. Che tramite un sottile lavorio sulle autorità locali aumentano il pressing sui centri di potere, spianando la strada alle aziende italiane. Se non altro permettendo la partecipazione al bando. Non sono parole in libertà, ci sono i numeri a certificare il ruolo determinante della diplomazia nel business all’estero.

COSI’ CONSOLATI E AMBASCIATE SPINGONO IL PIL

Negli ultimi due anni sono stati 756 i progetti avviati all’estero, dunque vinti, da 330 imprese italiane grazie al supporto delle strutture diplomatiche, ambasciate e consolati in primis. L’azione della diplomazia tricolore si è svolta in particolare lungo tre binari: sensibilizzazione delle autorità locali, richiamando la loro attenzione verso la partecipazione di aziende italiane, risoluzione di eventuali controversie e sviluppo del business con le medesime autorità. Il tutto ha permesso a gruppi più o meno grandi di generare, per il solo territorio italiano, un valore aggiunto di 16 miliardi di euro, frutto di un fatturato complessivo di 52 miliardi. In altre parole, si tratta dei soldi portati in Italia grazie a progetti realizzati altrove e il cui ammontare corrisponde all’1,1% del pil italiano. E la diplomazia fa bene anche alle casse pubbliche. I 16 miliardi incamerati grazie al business estero ha fruttato infatti negli ultimi due anni 6,7 miliardi di gettito e procurato lavoro a 234 mila persone, il grosso dei quali, ovviamente, oltreconfine.

I SETTORI COINVOLTI

Ad oggi la diplomazia italiana coordinata dalla Farnesina ha permesso alle imprese italiane di concludere affari in una novantina di Paesi, soprattutto nell’Africa del Nord e in Medio Oriente. Tra i settori oggetto dell’attenzione delle feluche, la Meccanica (86 progetti), le costruzioni (50), le navi (15), l’energia (11) e l’alimentare (9). Il grosso degli oltre 700 progetti inoltre, vanta un fatturato sopra i 50 milioni, mentre un buon 30% è compreso tra i 10 e i 30.

ALFANO E LA MILANO (POST) BREXIT

Eppure il compito dei diplomatici italiani all’estero non è tutto qui. C’è un’altra missione all’orizzonte, oltre a quella di far vincere gare alle aziende del Bel Paese, annunciata dallo stesso ministro Alfano. Portare le aziende e le autorità attive in Gran Bretagna e prossime al trasloco in vista della fase operativa della Brexit (ancora incerta per la verità), a Milano. Se davvero il governo di Theresa May riuscirà infatti a portare a casa l’uscita dall’Europa chiesta dal popolo inglese lo scorso giugno, ci sarà una sorta di diaspora per molte authority. “E allora perché non approfittarne? Chi l’ha detto che tutti debbano andare a Francoforte piuttosto che a Milano?” si è chiesto Alfano. “Io ho un obiettivo, quello di fare di Milano la capitale del post Brexit. Vorrei che tante imprese ed enti attivi a Londra scegliessero noi. E una sfida. Ma dobbiamo vincerla e per questo metteremo in campo tutte le nostre risorse, compresa anche una task force”.

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