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Ecco come Michael Flynn era intercettato dal controspionaggio Usa (e Trump lo sapeva)

La vicenda delle dimissioni del consigliere per la Sicurezza nazionale americano, Michael Flynn, si porta dietro uno strascico impietoso. I servizi del controspionaggio dell’Fbi avevano iniziato a indagare sulle relazioni di Flynn con la Russia, e messo sotto controllo le sue conversazioni.

L’FBI CONTROLLAVA FLYNN

La Casa Bianca era a conoscenza del contenuto delle telefonate del Consigliere, probabilmente anche del fatto che stesse trattando sull’abolizione delle sanzioni (cosa non permessa dalla legge prima dell’inizio del mandato presidenziale). Ad avvertire il presidente Donald Trump (e il suo vice Mike Pence?) sarebbe stata Sally Yates, a capo del dipartimento di Giustizia ad interim (in attesa che il nuovo titolare Jeff Sessions superasse le difficoltà incontrate durante le audizioni al Senato). Il dipartimento che Yates guidava ha giurisdizione sull’Fbi e gli agenti avevano avvisato la loro superiore che la versione fornita da Flynn in un chiarimento richiesto a proposito delle telefonate con l’ambasciatore russo a Washington, Sergei Kislyak, non era convincente. Yates mise in allarme la presidenza della possibilità il consigliere per la Sicurezza nazionale stesse promettendo a nome dell’amministrazione Trump il sollevamento delle sanzioni imposte da Barack Obama: anche quelle appena alzate (i fatti si svolgono a cavallo della fine del 2016) come provvedimento punitivo per l’interferenza russa nelle elezioni presidenziali; azioni che non provocarono una reazione Russia, si pensò al fair play o a una strategia di Vladimir Putin, ora si crede che sia stato un suggerimento Flynn: state buoni adesso tanto tra poco ci pensiamo noi a sistemare le cose. Yates avvisò il governo anche perché gli agenti le avevano comunicato una preoccupazione collegata al primo degli articoli che il Washington Post ha pubblicato sulla vicenda (il secondo è quello che ha prodotto le dimissioni ed è uscito il 9 febbraio), quello in cui venivano citate fonti che raccontavano di quelle comunicazioni tra Flynn e la l’ambasciata russa. I Federali temevano che mentre i politici americani in pubblico difendevano il Consigliere sulla linea “sono contatti di routine, non si parla di sanzioni”, i russi avrebbero avuto le prove che invece così non era e avrebbero potute usarle per screditare il buon nome di Washington (in pratica Mosca avrebbe potuto dire agli americani che il governo stava mentendo ai suoi cittadini). Yates fu ignorata: perché? L’attività amministrativa della segretaria durò meno di un mese, poi fu ufficialmente sbattuta fuori come “traditrice” perché aveva manifestato la volontà di opporsi al provvedimento su immigrazione e ingressi; ma c’è dell’altro dietro al licenziamento? Le domande restano in piedi, e sarà l’inchiesta dell’Fbi a chiarirle.

TRUMP SAPEVA

Martedì il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ha ammesso che Trump era a conoscenza della situazione fin dal 26 gennaio (invece Pence era all’oscuro, dice), ma ha preferito prendere tempo, intanto però Flynn per altre due settimane è rimasto al suo posto, con accesso ai documenti riservati. Spicer sottolinea che Flynn si è mosso indipendentemente, ma un’altra domanda tra le tante è: non è che per caso Flynn s’è preso il proiettile per coprire Trump, che lo aveva incaricato di quei contatti? Sull’Observer, che è il nuovo nome del New York Observer, un eclettico ma ben informato ex agente dei servizi segreti (si chiama John Schindler ma è più noto col nome usato su Twitter, @20committee) che ora si occupa di analisi su sicurezza e intelligente, ha scritto che all’interno della comunità di intelligence c’è un generale clima di sfiducia nei confronti della Casa Bianca. Pare che la Cia e le agenzie di intelligence in generale tengano nascoste all’inner circle trumpiano alcune delle informazioni più calde perché temono che possano essere spifferate alla stampa, mal gestite, oppure ancora peggio intercettate (o passate?) dai russi. In quest’ottica è possibile che rientri quanto successo all’uomo che Flynn aveva scelto per guidare il dipartimenti che si occupa di Africa per il Consiglio di Sicurezza nazionale, a cui è stato negato dalla Cia il permesso per accedere ai documenti più riservati. L’articolo è confermato da informazioni ricevute da Schindler e non è certamente definitivo, ma ha un peso politico: l’Observer è di proprietà di Jared Kushner, marito di Ivanka Trump e consigliere di primo piano del presidente. È piuttosto noto che Kushner rappresenti la linea riflessiva e moderata dell’inner circle di Trump e che per lungo tempo nei mesi passati sia entrato in contrasto con Flynn sulla traiettoria da tenere. Flynn era considerato il portabandiera dell’aggressività trumpiana (da lui partì il coro “lock her up” a proposito di Hillary durante la Convention dello scorso anno), insieme al più oscuro Steve Bannon, lo stratega che ora è il punto di scontro di Kushner: scontri che dopo solo un mese di amministrazione sono diventati secondo il WaPo il metodo comunicativo interno.

I CONTATTI CON I RUSSI

Quattro funzionari del governo hanno parlato anche con il New York Times e hanno raccontato che il controspionaggio da mesi tiene sotto controllo le conversazioni di diversi degli uomini di Trump. Le intercettazioni si inquadrano nell’ambito dell’inchiesta sull’interferenza russa durante le elezioni presidenziali, e testimoniano che tra lo staff dell’attuale presidente e i funzionari russi c’è un intenso, continuo giro di contatti dicono le fonti. Tra i convoilti c’è Paul Manafort, ex capo della campagna Trump già impelagato con vicende collegate a Russia e Ucraina. Le conversazioni sono state captate dall’Nsa, che normalmente tiene sotto controllo le attività dei servizi stranieri in America: a quel punto, mesi fa, l’Fbi ha chiesto che venissero messi sotto controllo sia Manafort, sia Flynn che altri due collaboratori di Trump, Carter Page, un consulente per la politica estera, e Roger Stone, esperto stratega repubblicano (anticipò che WikiLeaks avrebbe pubblicato le mail sottratte ad Hillary Clinton). In questo passaggio la storia si intreccia con l’altra indagine parallela sul dossier scottante raccolto da un agente segreto inglese, che parla di possibili prove compromettenti che i russi avrebbero in mano per ricattare Trump e più in generale sulle interferenze russe nelle presidenziali. L’Fbi sta indagando anche su questo e la domanda qui è: Mosca ha utilizzato quelle informazioni durante i contatti con lo staff di Trump? Le ha usate per ricatto? E ancora, c’era una accordo per alterare le elezioni di cui Flynn è stato “intermediario”? Per il momento stante a quanto riportato dal Nyt non ci sarebbero prove in questo senso, e la Russia ha già bollato tutto come “paranoia”. (Nota: Spicer martedì ha anche detto che nessuno degli uomini del presidente ha mai avuto contatti con la Russia, ma se è vero quello scritto dal Nyt ha mentito di nuovo). Certe domande rischiano di accedere al cospirazionismo, ma scrive l’ex direttrice del Nyt Jill Abramson in un op-ed sul Guardian, occorre indagare perché sono in gioco “i fondamenti della nostra democrazia”: “Chi glielo ha detto a Flynn di chiamare la Russia? Questa è la domanda su cui tutti chiedono una risposta”.

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