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Che cosa teme davvero Israele

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Quando si parla di terrorismo, sono tre le aree che maggiormente preoccupano Israele: il sud del Paese, il fronte interno e l’area nord con la minaccia di Hezbollah. Nell’area meridionale, il terrorismo che si alimenta nel Sinai è contrastato anche grazie alla collaborazione con l’Egitto; una collaborazione totale che vede, infatti, la sorveglianza di al-Arish, città nel nord del Sinai, gestita totalmente da Israele e una costante relazione per la trasmissione di informazioni. Ciò detto, è tuttavia evidente l’inefficienza con cui le forze armate egiziane tentano di garantire la sicurezza di un’area territorialmente molto ristretta, (paragonabile all’area Roma-Viterbo-Grosseto). Si tratta di un’inefficienza militare, ma dalle chiare radici politiche. Al-Sisi non è in grado di trovare strutture intermedie per ottenere il consenso nella società egiziana e, soprattutto, non ha la minima intenzione di intraprendere un percorso d’azione dovuto e in un certo senso auspicato, legato in particolar modo al contrasto della corruzione e a riforme economiche che diano una mano a un’economia al tracollo. E Israele è ben conscio di questa debolezza intrinseca del Paese. Per quanto riguarda il fronte interno, la preoccupazione principale di Israele è legata al web.

Opinione condivisa con numerosi esperti dell’area, sorprende come per la prima volta sia stata avanzata la richiesta da parte di tutti i dirigenti israeliani – compreso lo stesso direttore generale del ministero degli Esteri, Dore Gold – di una collaborazione internazionale atta a contrastare la lotta jihadista, divenuta ormai anche digitale. Sul fronte nord della Siria, l’essenza sessantennale della politica israeliana si attua in tutte le sue articolazioni. La frantumazione dell’area è evidente, con villaggi controllati da al-Qaida, dall’Isis o da Assad. E di questa frantumazione, dal punto di vista militare, ne giova Israele, visto che proprio da quell’area sarebbe potuta venire la minaccia di una guerra simmetrica. Permane comunque la pressione del terrorismo jihadista. Ma la vera preoccupazione di Israele è rappresentata da Hezbollah. Fonti interne riferiscono come, la stessa comunità internazionale, non si renda conto che, dentro la logica sciita iraniana, e rispetto a quanto avviene in Siria – in cui la vittoria è stata conseguita da milizie internazionali sciite e non dalla Russia – la prospettiva che un giorno Hezbollah possieda un’arma atomica tattica è assolutamente concreta.

Un’acquisizione che, peraltro, avverrebbe per vie legali, ovvero attraverso rapporti interstatali con l’Iran, di cui riconosce il comando politico. Sul fronte nord, quindi, la minaccia non è tanto immediata, quanto più di lungo periodo, collegata all’aggressività iraniana e alla follia della logica dell’accordo nucleare dell’era Obama. Più volte l’aviazione israeliana ha colpito convogli e aeroporti siriani, con l’intento di interrompere il trasporto di armamenti sofisticati che nelle mani di Hezbollah diventerebbero armi contro Israele. A mio avviso, il vero pericolo per Israele viene dalle vicende di Aleppo e dalla raggiunta egemonia di Teheran su un’ampia fascia di territorio che arriva no al Mediterraneo. In altre parole, l’Iran non ha nessuna difficoltà a colpire Israele con missili a media o cortissima gittata, potenzialmente dotati anche di testate nucleari.

In questo senso, è opportuno ricordare lo straordinario successo militare raggiunto da strumenti come la Cupola di ferro (sistema anti-missile a corta gittata) a cui si sta aggiungendo la progettazione di altri due sistemi di intercettamento e distruzione di missili a media e lunga gittata. Ma per quanto la ricerca nel campo della difesa sia avanzata e favorita da un esercito che effettivamente coincide con la popolazione – e quindi con la componente scientifica e di sviluppo industriale – esiste un ostacolo molto forte collegato al monitoraggio e alla sicurezza del sottosuolo. Insieme a Hezbollah, quindi, il reticolo di tunnel costruito da Hamas e che alimenta il terrorismo jihadista, costituisce una delle principali minacce alla sicurezza di Israele. In questo quadro si inserisce poi l’incognita della presidenza Trump, forse il presidente americano più emotivamente legato alla causa israeliana, date le origini del genero.

di Carlo Panella – giornalista e analista del Medio Oriente

Articolo pubblicato sul numero di Formiche di Febbraio

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