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Gli Stati Uniti fanno la voce grossa all’Onu sulla Libia per non dispiacere Israele

L’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite Nikki Haley ha firmato una nota ufficiale con cui ha comunicato che Washington è delusa a proposito della designazione del nuovo inviato speciale dell’Onu per la crisi in Libia. Il nome che sta circolando con insistenza è quello di Salam Fayyad, ex primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese dal 2007 al 2013.

Fayyad è universalmente apprezzato da molti diplomatici alle Nazioni Unite, e la lettera fatta circolare dal nuovo segretario Antonio Guterres a proposito della nomina non era altro che una formalità che aveva anticipato l’inizio del mandato (già in programma per la prossima settimana). Per tale ragione la protesta americana viene commentata come “bizzarra” da alcune persone dell’entourage dei diplomatici del Palazzo di Vetro.

Ma Haley nelle sue rimostranze detta la linea della politica americana: “Per troppo tempo l’ONU è stata ingiustamente sbilanciata in favore dell’Autorità palestinese a scapito dei nostri alleati in Israele”. Ossia, il motivo delle proteste americane non è contingentato alla nomina in sé, ma ai propri interessi strategici (qui: il rapporto da ricostruire con lo storico alleato Israele). Washington, che ha molto peso alle Nazioni Unite essendo uno dei cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza, non sta andando contro la scelta di Fayyad perché lo ritiene meno abile dell’attuale inviato speciale, il tedesco Martin Kobler. E non sta andando contro la decisione del Segretario generale perché tiene conto delle lamentale che nei giorni passati erano arrivate dalla Libia, dove diversi politici avevano calcato sulla necessità di essere coinvolti, quanto meno avvisati, su certe decisioni (l’inviato speciale nella situazione attuale, dove l’unico governo riconosciuto è quello sostenuto dall’impalcatura di accordo costruita dalle Nazioni Unite ha un ruolo di fulcro tra le varie voci in campo). O ancora, ma qui entriamo in un campo più malizioso: Washington non ha contestato la decisione perché ritiene che quel ruolo dovesse essere occupato da qualcuno con più vicinanza alla crisi; per esempio, perché non un italiano, se è vero che la Casa Bianca ha affidato a Roma un ruolo chiave nella gestione della situazione?

Siamo davanti a una delle varie dimostrazioni di come gli Stati Uniti vogliono prima di tutto curare i propri interessi (bilaterali) anche su processi internazionali (multilaterali)?



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