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Vi racconto i blocchi sociali che appoggiano Emmanuel Macron e Marine Le Pen

A poco più di cinquanta giorni dal primo turno delle presidenziali francesi, i contorni della contesa sono sufficientemente chiari dopo la lunga gestazione delle candidature segnata da colpi di scena imprevedibili fino a qualche mese fa. Marine Le Pen ed Emmanuel Macron hanno fatto il vuoto intorno a loro. Eliminato politicamente da uno scandalo giudiziario il gollista François Fillon, verificata l’irrilevanza del socialista Benoit Hamon, fuori dai giochi il “comunista” (o comunque lo si voglia definire) Jean-Luc Mélenchon, la partita se la giocheranno – a meno di colpi di scena dell’ultima ora – la leader del Front national e l’astro nascente della politica francese di difficile collocazione (post-socialista, neo-centrista, liberal-socialista?) che cavalca proprio la sua asserita indefinibilità per aggregare gli scontenti di tutti gli schieramenti nella speranza di farli convergere sulla una proposta “spiazzante” e, dunque, non esente da equivoci.

In queste elezioni, a differenza del passato, l’imprevedibilità ha fatto irruzione condizionandone lo svolgimento. Fillon che compattava i Républicains interrogandoli retoricamente se era immaginabile il generale De Gaulle indagato, tanto per far capire che Nicolas Sarkozy era impresentabile, è fuori dalla contesa per via del “Penelopegate”, una storiaccia di fondi pubblici finiti sui conti della moglie come sua assistente parlamentare, ruolo mai effettivamente svolto: la magistratura si esprimerà a breve, ma l’esito non sarà comunque favorevole all’ex-primo ministro. Sulla Le Pen gravano accuse di aver fatto affluire impropriamente fondi del Parlamento europeo nelle tasche di suoi collaboratori: ha rifiutato di presentarsi davanti ai giudici che volevano interrogarla rimandando il tutto a dopo le politiche di giugno. Neppure Macron è riuscito a sottrarsi ad un tentativo di discredito: gli hanno attribuito tendenze gay nonostante sia sposato con la sua ex-professoressa di vent’anni più anziana (rappresentata da alcuni avversari come un “paravento”); si è difeso dicendo che se fosse omosessuale lo ammetterebbe senza problemi.

Non è proprio una bella campagna elettorale. Le Canard enchené ha aperto il fronte anti-Fillon; Le Monde e Liberation stanno cavalcando la campagna contro la Le Pen che ha denunciato il primo per diffamazione a proposito di “documenti compromettenti” che tirerebbero in ballo Fréderic Chatillon, uomo-chiave dei finanziamenti al Fn; la comunità omosessuale ha dato addosso a Macron che si è dovuto scusare con un’intervista rilasciata al loro giornale Tatu.

La battaglia politica è tra le più aspre dai tempi di Mitterrand. Di fronte stanno due schieramenti agguerritissimi: da una parte l’establishment progressista (ma moderato), laicista e finanziario appoggia apertamente Macron (avrebbe sostenuto Fillon senza dubbio) al fine di proteggere il potere oligarchico rappresentato dalla grande industria, dagli alti funzionari pubblici, dalle banche. E’ il mondo legato a doppio filo alle politiche europee verso le quali a giorni alterni Macron si mostra accondiscendente o critico. Dall’altra c’è un fronte più variegato, incline al cambiamento e per nulla spaventato dalle conseguenze che una vittoria della Le Pen determinerebbe non soltanto in Francia, ma nell’intera Unione. Sono piccoli e medi imprenditori, agricoltori ed artigiani tartassati dal sistema fiscale, emarginati dalle politiche sociali dei governi socialisti e centristi che guardano all’immigrazione come ad una sottrazione di possibilità lavorative e allo stesso tempo quale premessa di una “sostituzione etnica” che perfino intellettuali un tempo legati alla sinistra denunciano vigorosamente. Gli elettori di Macron abitano nelle grandi città, ma non nelle periferie; quelli della Le Pen, un tempo soltanto nella campagna francese, oggi vive male la crisi nelle vecchie cinture operaie dei centri urbani dove tutto è diventato insopportabile, a cominciare dall’insicurezza. La gauche da quelle parti mieteva consensi considerevoli, oggi non vi si affaccia più. E neppure il Partito socialista di Hollande e di Valls ha la capacità di penetrazione di un tempo appiattitosi sul neo-liberismo ispirato da Bruxelles e Francoforte.

In giro per la Francia non si sentono più gli anatemi di un tempo contro il Front national che in città come Lione, Marsiglia, Nizza, nella couronne parigina e al Nord nelle roccheforti operaie e proletarie attira simpatie sempre più consistenti, si colloca come il deposito non più soltanto dei risentimenti maturati dai ceti maggiormente disagiati, ma come la speranza di quel che rimane di una borghesia nazionalista riconosciutasi per decenni prima in De Gaulle e poi nei suoi successori, sia pure talvolta a malincuore. Fillon non li merita, dicono, come non li meritava Sarkozy. Ed è improbabile che al secondo turno possano votare Macron che non fa mistero di proseguire su una strada che ha depauperato proprio quel ceto medio che costituiva la spina dorsale della Francia. Se poi ci si aggiunge la gaffe davvero imperdonabile dell’ex-ministro dell’Economia sulla “barbarie colonialista” il quadro risulta ancora più chiaro. I francesi, di qualsiasi credo politico, non hanno mai perdonato chi ha sputato sul loro passato. Macron si è permesso ciò che né Marchais, né Mitterrand avevano mai fatto. In Algeria, poi. Non c’è una sola famiglia francese che non abbia avuto un pied noir. Imperdonabile.

E allora? Marine Le Pen veleggia verso il 30%, Macron sta intorno al 25 e sotto il 20 Fillon. Sono sommabili i voti del secondo e del terzo? Difficile. E’ più facile che buona parte dei voti dei Républicains finiscano questa volta alla Le Pen, mentre è improbabile che quelli della sinistra-sinistra (non molti in verità) vengano dati in dono ad un liberista più vicino a Giscard d’Estaing che alla tradizione social-comunista. Finirà sul filo di lana, con ogni probabilità. E dire che soltanto due mesi fa lo scenario era completamente diverso. La Le Pen “vede” l’Eliseo contrariamente a quanto si poteva immaginare. Ma in sessantacinque giorni tutto può cambiare. Il sistema non si lascerà convincere; le bocche di fuoco dell’alta finanza, dei media, della tecno-burocrazia europea non spareranno a salve.

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