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Perché contesto le tesi di Stiglitz su Trump (e non solo)

Sul quotidiano francese LeMonde di venerdì 3 febbraio, con il titoone “Joseph Stiglitz: Trump détruit l’ordre géopolitique mondial”  e con il sottotitolo “les perdants de la mondialisation seront les premierès victimes de Trump“, il premio Nobel ha rilasciato una intervista che a dir poco mi ha sorpreso.

L’intervistatore gli chiede : “Voi denunciate da anni gli eccessi della mondializzazione fonte di ineguaglianza. Il protezionismo di Trump può esser una soluzione?”. Stiglitz risponde: “No. L’ironia è che le persone che ne hanno più sofferto nei 25 anni passati saranno le prime vittime..”( aggiungendo poi confusi esempi finanziari e fiscali) .

Mio commento: se Stiglitz spiegasse anzitutto con chiarezza chi sono le vittime e la sua visione sull’origine di questi eccessi, dimostrerebbe di aver giustamente meritato il Nobel e di saper proporre soluzioni. Invece coglie l’occasione per attaccare il rischio di populismo politico in Usa ed Europa. La risposta giusta è la seguente: il vero grande disordine si crea negli anni settanta grazie alle dottrine del nuovo ordine mondiale che come prima azione frenano le nascite (solo in occidente), e questo fenomeno avvia il processo di disordine economico-geopolitico globale.

Di per sé la globalizzazione ha creato un riequilibrio economico inimmaginabile grazie alla delocalizzazione produttiva realizzata dai paesi occidentali verso quelli orientali, per beneficiare dei loro bassi costi di produzione. Pur nell’errore originale , ciò ha permesso a due terzi del pianeta (persino in Africa) di avviare piani di crescita economica. Lo squilibrio si è invece paradossalmente creato nei cosiddetti paesi occidentali (Usa ed Europa in primis) perché da paesi produttori che erano si sono trasformati in paesi consumatori, mentre i paesi asiatici e affini si son trasformati repentinamente in paesi produttori ma non ancora consumatori.

L’occidente ha deindustrializzato creando i presupposti per il suo crollo economico. Il cosiddetto protezionismo nei confronti di alcuni settori industriali diventa ora indispensabile per far riprendere settori trainanti dell’economia (esposti alla competizione fondata su forme quasi di schiavismo lavorativo) e riavviare un nuovo ciclo in paesi come gli Usa, sull’orlo del fallimento economico e sociale. In Occidente, le vittime son state i giovani senza lavoro, le persone in età matura operanti in settori impiegatizi sostituibili dalle tecnologie e gli anziani.

La seconda domanda del quotidiano francese: “Se il protezionismo non è una risposta come si può proteggere le vittime della mondializzazione?“. La risposta è da vero premio Nobel: “La priorità è aiutarli a formarsi… “, cioè acquisire nuove competenze e creare nuovi lavori (ci vuole una generazione per riuscirci?). Dice anche che non sarà la rilocalizzazione in patria a creare nuovi impieghi ma saranno gli investimenti, per esempio, nella sanità e nella cura degli anziani, proponendo di trovare le risorse con tasse e riduzione delle spese militari. Ma Stiglitz, premio Nobel per l’economia, di che sta parlando? Per creare nuove competenze e nuovi lavori, come si fa se non reimportando in patria quei settori trainanti dell’economia, quei settori che creano investimenti e sviluppano tecnologie?

Proprio come l’automobile che sviluppa un indotto che può arrivare a quintuplicare gli effetti di creazione posti di lavoro e di investimento, purchè realizzati all’interno del Paese. Stiglitz annuncia, come un oracolo, che prodotte in case le auto costeranno più care per gli americani. Ma conosce Stiglitz il potenziale tecnologico americano (ottenuto proprio grazie agli investimenti nella difesa, che crearono la Silicon Valley) che quando applicato a quei settori da rilocalizzare in patria permetterà di far crescere la competitività domestica “quasi” allo stesso modo quella dei paesi a basso costo. Ciò perché questi paesi – costretti a ridurre le esportazioni in occidente – per evitare i collassi delle proprie economie dovranno creare domanda interna aumentando il potere di acquisto e perciò i costi.

Tra poco, se Trump non fa errori per molti settori economici, il costo di produzione domestico negli USA sarà quasi equivalente a quello importato ma con un effetto trainante elevatissimo. Grazie alla potenza tecnologica, gli Usa son riusciti negli ultimi pochi anni a diventare persino indipendenti nelle produzioni energetiche. L’intervistatore chiede al premio Nobel se i progetti di fare opere infrastrutturali beneficeranno la crescita. La risposta è ambigua: sì, forse si potranno fare, ma conclude ironizzando che i repubblicani non credono ai cambiamenti climatici. Lasciando immaginare che Trump lo peggiorerà con le sue scelte.

Successiva domanda è infatti sul clima: che farà Trump? Risposta del Nobel in economia: “Trump sta distruggendo l’ordine geopolitico mondiale avviato dopo la seconda guerra mondiale”. Spiegando che gli Usa ripiegheranno su sé stessi fuori dalla comunità internazionale. Ma con un’affermazione criptica: “Dans quatre ans, il y aura peut etre un autre président américain qui déciderà de rejoindre à nouveau le club“. Quale club? Il club di Roma e affini? Intende il club che ha creato i dissesti della globalizzazione forzandone scelte contrarie a tutte le leggi naturali cominciando dal frenare le nascite nel mondo occidentale? Ma quale ordine? Chi ha distrutto l’ordine geopolitico mondiale son stati proprio i predecessori di Trump.

Solo nell’ultima domanda Stiglitz dà una risposta che condivido (ironicamente). Gli si chiede se l’Europa deve difendere il libero scambio contro un presidente protezionista. La sua risposta è questa. “Bisogna mantenere un sistema mondiale aperto. Se lo si chiude si perde. Ma la mondializzazione deve proteggere i perdenti …e ce n’è anche troppi”. Bene, ma ripeto la domanda: chi sono i perdenti e perché lo sono Stiglitz lo ha capito? Io credo che siano quelli che hanno votato la Brexit e Trump e che voteranno i partiti populisti in Europa. Ma gli Stiglitz hanno capito perché? Dall’intervista non si intende. I più deboli che lui vorrebbe far difendere non vogliono farsi più difendere da chi vorrebbe lui, avendo perso fiducia proprio nel “club” evocato da Stiglitz. Han perso fiducia negli Obama, Clinton e compagnia bella. Cioè in coloro che pretenderebbero oggi di risolvere un problema mondiale agendo sugli effetti anziché sulle cause del problema.

E le cause del problema rifiutano persino di considerarle perché, con disprezzo, le considerano “morali”. Ed è vero, è la mancanza di valori morali che ha provocato la miseria morale che a sua volta ha generato miseria economica e sociale. L’intervista conferma che l’economia non è una scienza e pertanto il Nobel non dovrebbe neppure esser riconosciuto, ma conferma anche che sarebbe necessaria una forte autorità morale che evangelizzasse a dovere nel mondo globale.

(Articolo pubblicato sul quotidiano La Verità diretto da Maurizio Belpietro)


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