Quello di Pier Luigi Bersani è un pentimento ad effetto retroattivo. Un po’ come l’infame Legge Severino (il giudizio è solo di carattere politico da parte di uno che, da deputato, si rifiutò di votarla). Se ne è andato insieme ad altri perché non condivideva le leggi che aveva contribuito ad approvare. Lui e i suoi sodali negli ultimi anni hanno sempre fatto politica – a loro dire – con una pistola puntata alla tempia. Accadde così con le riforme del Governo Monti (quando c’era da salvare l’Italia e da obbedire a Giorgio Napolitano). La scena si è ripetuta con l’esecutivo del “giovane caudillo”, perché si doveva tutelare la “ditta”. Solo adesso si sono accorti che quelle pistole erano caricate a salve?
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Dicevano gli antichi: spes ultima dea. Non so come, ma avevano previsto come sarebbe andata l’Assemblea nazionale del Pd, domenica scorsa.
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Roberto Speranza continua la zolfa cara a Bersani: nel Pd la scissione ci sarebbe già stata da tempo tra il partito e un pezzo di elettorato. Il fatto è che a Matteo Renzi di quell’elettorato, a loro tanto caro, non gliene può fregar di meno.