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Perché serve una nuova legge elettorale

Che le elezioni politiche si svolgano in anticipo, oppure a scadenza naturale – ormai, tra l’altro, non troppo lontana – si rivela urgente l’adozione di una legge elettorale ben ponderata, che contemperi le esigenze di rappresentatività e governabilità e favorisca il collegamento con i territori. Una legge che venga avvertita come patrimonio comune, garanzia di tutte le forze politiche presenti nello scenario nazionale. Sembra progressivamente allontanarsi l’ipotesi sbrigativa di votare con le due normative al momento vigenti, l’Italicum (legge 52/2015) per la Camera – al netto delle parti cassate dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 25 gennaio u.s. – e il cosiddetto “Consultellum”, per il Senato. Per “Consultellum”, altro non si intende, in realtà, che un’altra disciplina residuale, il testo della vecchia legge Calderoli (la 270 del 2005), come “scremato” delle parti dichiarate incostituzionali da una precedente sentenza della Corte (1/2014, del gennaio 2014).

In virtù dell’ “auto applicabilità” di ambedue queste normative, sensibilmente “tagliuzzate” dalla Consulta, veniva da taluni auspicato il voto anticipato regolato dalle stesse, sorvolando sulla scarsa compatibilità di due “residui” di leggi adottate in epoche diverse, nel quadro di diversi contesti politici e secondo visioni e prospettive diverse. Ogni legge elettorale è figlia, infatti, del suo tempo e di opzioni politiche legate al quadro contingente, soprattutto nel nostro paese, in cui, da oltre un quarto di secolo, ci interroghiamo sulla legge elettorale ideale, proponendoci continuamente di cambiarla. Votando con le due leggi attualmente vigenti, una con il possibile premio di maggioranza e l’altra puramente proporzionale, una che favorisce le liste di partito, l’altra le coalizioni, entrambe residuali rispetto a leggi dichiarate parzialmente incostituzionali, correremmo il rischio di ritrovarci due camere con equilibri e rapporti di forza diversi, asimmetrici, inidonee a esprimere la stessa maggioranza e, forse, a questo punto, in un pantano ingovernabile, con un Parlamento estremamente parcellizzato, o paralizzato dai veti incrociati. Se a questo dovessero portarci elezioni frettolose, meglio conservare gli attuali equilibri, con un governo in carica e una maggioranza ben definita, approfittando del tempo ancora disponibile per ragionare con serenità e competenza su una normativa che possa garantire stabilità e continuità alla prossima legislatura. Una legge elettorale per Camera e Senato, quanto più possibile armonica e razionale, che non sia un collage improvvisato di pezzi di vecchie normative parzialmente accantonate, ma un “unicum” coerente con una comune visione delle priorità cui la legge stessa debba corrispondere.

Sembrava maturare, nei giorni scorsi, un’intesa tra Renzi, 5 Stelle e Lega sull’ipotesi di estensione dell’Italicum al Senato. Un disegno di legge tendenzialmente in questo senso è stato presentato dall’on. Lauricella, deputato del Pd, con gli sbarramenti, ai fini di accedere alla rappresentanza parlamentare, al 3% per la Camera e al 4% per il Senato. Il premio, inoltre, per la Camera alta, verrebbe assegnato su base regionale, nel rispetto del principio di cui al primo comma dell’art. 57 della Costituzione e questo vale anche per la ripartizione dei seggi. L’idea di estendere al Senato l’Italicum appare certamente preferibile, rispetto a quella di utilizzare le due leggi vigenti, ai fini di favorire omogeneità di composizione delle due assemblee e di conseguenza stabile governabilità, ma forse si potrebbe fare ancora meglio. Sarebbe questo il momento di individuare un sistema che ci consenta, almeno per i prossimi venti-trent’anni, di non pensare più a questa materia, sulla quale ci arrovelliamo da oltre un quarto di secolo!

Anche l’Italicum rappresenta, peraltro, il residuo di una legge sensibilmente “cesellata” dalla Corte ed era stata concepita per regolare l’elezione di una sola Camera, nella prospettiva dell’entrata in vigore della riforma costituzionale (la cosiddetta legge Boschi) che superava il bicameralismo perfetto, trasformando il Senato della Repubblica nel Senato delle Regioni, eletto dagli enti locali. Ma la riforma costituzionale non è stata approvata dal corpo elettorale, nel referendum del 4 dicembre. L’Italicum è ormai parte di un’altra storia, fu varata da una maggioranza che perseguiva una prospettiva politica che poi non si è realizzata, lo stesso premio del 40%, nel quadro tripolare di oggi, potrebbe non scattare, a dispetto delle esigenze di governabilità. Non possiamo poi dimenticare la questione dei capilista bloccati che è divisiva tra i partiti e all’interno degli stessi e si presta alle contestazioni dell’opinione pubblica, in un’epoca di forte insofferenza verso la “casta”. Per arrivare finalmente a una legge condivisa, che resista all’usura del tempo, sarebbe opportuno che il Parlamento si concedesse i margini necessari per esaminare le diverse ipotesi di riforma, anche quelle fondate sul collegio uninominale, maggioritario (tipo Mattarellum), o proporzionale. E il premio di coalizione, per favorire le aggregazioni di posizioni affini e la governabilità.

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